lunedì 16 dicembre 2013

Big Luciano o la solitudine del numero uno?


Big Luciano o la solitudine del numero uno?




Il 17 dicembre è una data importante per Calciopoli, la conclusione del processo d'Appello al tribunale di Napoli, chiamato a rivedere la sentenza di primo grado, con tutte le sue falle, i suoi buchi, le sue contraddizioni e soprattutto la sua genesi in quanto frutto di un collegio spaccato; e frutto anche di un processo che, come ha ricordato l'avvocato Prioreschi nel corso della sua arringa, non avrebbe dovuto svolgersi lì, non era Napoli la sede competente: avrebbe potuto essere Torino o Roma (o Udine o Lecce se si prende in considerazione la sede di consumazione dei reati di scopo anziché il reato associativo).

La figura centrale di questo processo, mediaticamente assai la più esposta, è stata quella di Luciano Moggi: la più esposta perché dall'inizio è stato il mostro sbattuto in pagina; e poi perché è quello che più ha profuso energie e risorse nella ricerca delle prove atte a smontare la cupola innalzata ad arte dall'Accusa; a favore non solo suo, ma anche di tanti altri 'che ha visto piangere' (son parole sue) e che non avrebbero mai potuto permettersi uno staff come il suo; ma anche della Juve che, seppure non possiede ancora con la necessaria forza (essendo ancora coinvolti i suoi due dirigenti) tutti gli elementi per chiedere la revisione del processo sportivo ex art.39, ne è già uscita assolta in primo grado non essendo stato assolutamente alterato l'esito del campionato 2004-05. Moggi avrebbe lavorato pro domo sua, e a questo punto però manca il movente, visto che non è girato un euro.

Ma ormai Moggi è Big Luciano:
quello che aveva sequestrato Paparesta negli spogliatoi del Granillo; e non importa se la Procura di Reggio Calabria, su richiesta dello stesso Gip, avesse già archiviato il tutto perché 'il fatto non sussiste' se non nell'immaginario collettivo costruito da pennivendoli orientanti;
quello che dettava le griglie ai designatori con la regina madre delle telefonate, la grigliata tra Bergamo e Pairetto; e pazienza se costruire le griglie in base a criteri predeterminati fosse un esercizio non certo dei più complicati, visto che i giornalisti stessi, come Pesciaroli del Corriere dello Sport, ci provavano e spesso ci azzeccavano; e addirittura Alessandra R., una giornalista dell'Ansa, si confrontò in proposito con Pairetto; e pazienza se a chiedere di mettere Collina e di bypassare i sorteggi sia stato Facchetti, ma l'Inter non interessava, parola di Auricchio;
quello che faceva taroccare i sorteggi, e non importa se si è stabilito nel processo che siano stati regolari e la stessa Casoria abbia scritto in sentenza  trattarsi di 'un espediente mal riuscito dell'Accusa', impegnata solo a 'correr dietro ai misfatti di Moggi'; e pazienza se, pur di far valere questa panzana, si sia arrivati a taroccare un video dei sorteggi stessi e a farne a video fantasma;
quello che sarebbe stato così potente da far slittare (pro domo sua, onde recuperare giocatori indisponibili per infortunio o squalifica) la trentesima giornata di campionato (susseguente alla morte di papa Woytila); peccato che invece sia stato quella mammoletta di Adriano Galliani, parlando al telefono con Meani, il direttore d'orchesta occulto degli sbandieratori del weekend, a vantarsi di essere quello che non dorme e di esser stato lui in effetti il deus ex machina dell'operazione slittamento, altro che quel 'figlio di puttana' (sic) di Moggi; perché Galliani, alla testa di quel Milan che per Auricchio, ma solo per Auricchio, non aveva televisioni, era così poco addentro alle alte faccende che poi il 19 aprile etichettava già Bergamo e Pairetto come 'ex designatori';
quello che usava le schede svizzere per cupolare, peccato che, nonostante fossero intercettabili non si sia provveduto a farlo e così Di Laroni, con un metodo privo di qualsiasi scientificità, le abbia appioppate a chi serviva alle tesi dell'accusa e a quel punto qualsiasi ipotesi, per quanto farneticante, sui contenuti era ammessa; peccato che Moggi fosse praticamente costretto ad usarle per il mercato a causa dello spionaggio Inter-Telecom-Pirelli.
ma i 'quello che' potrebbero continuare all'infinito, e così le relative demolizioni.

La realtà è un'altra.
Moggi e la Triade erano soli.
Luciano Moggi era solo perché era il numero uno.
E non ci sarebbe stato modo di scalzare la sua Juve dalle alte vette se non distruggendolo, per quanto sporchi potessero essere i modi, per quanto vigliacche potessero essere le armi da usare.
E si è fatto.

Solo davanti ai nemici, solo tra quelli che sarebbero dovuti essere gli amici. Ne erano perfettamente consci, lui e Giraudo: dopo la morte dell'Avvocato prima, del Dottore poi, non c'era più alcun riparo. La telefonata del 21 aprile 2005 tra Moggi e Tosatti è emblematica, ancorché tristissima: 'E' terra bruciata, mi assumo responsabilità che non son le mie... combatti contro il mondo, poi ci devi metter sempre la faccia'. E anche in quella telefonata, orgogliosamente, pur amareggiato, Moggi non aveva abdicato al suo ruolo di numero uno: 'Tanto il campionato lo vinciamo lo stesso', nonostante De Santis (sì, proprio lui, il cupolante ad intermittenza), nonostante gli organi di informazione, con in prima linea 'La Stampa', il giornale di famiglia.
La Famiglia. Già il problema stava lì. La famiglia remava contro: aveva posto le basi del 'ribaltone in famiglia' il 31 dicembre a Marrakech, con l'incontro tra John Elkann e Jean-Claude Blanc e non si fece scrupolo di permettere che a pagare il conto fosse la Juventus, con due scudetti, una retrocessione e una distruzione del patrimonio tecnico ed economico di cui il club sta pagando ancora oggi lo scotto.

Più solo di così... anzi, più soli di così, Luciano Moggi, la Triade, la Juve...



Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor

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