lunedì 13 ottobre 2014

STRANE COINCIDENZE CALCIOPOLARE






L'indecente canea che si è scatenata sui media, in un riciclo vizioso con qualche bandiera giallorossa, ha offerto il solito squallido spettacolo cui il nostro calcio sembra essersi abbonato, anzi fideizzato.
D'altronde abbiamo un presidente federale squalificato dall'Uefa per razzismo e tenuto in ostaggio da un latinista alla vaccinara, il numero uno del Coni sotto squalifica da una sua Federazione dopo una rissa da pollaio, una Lega afflitta da gravissimi problemi che paralizzano l'intero movimento ma il cui esponente di punta preferisce invece insultare qualche collega o la categoria dei giornalisti (cui peraltro appartiene) che hanno riportato il fatto; per non dire di una pletora di parlamentari, muti e inerti di fronte ai pressanti problemi che affliggono il Paese, ma attivissimi, addirittura frenetici, a twittare e promuovere dibattiti nel Parlamento italiano e in Europa sull'arbitraggio di Juve-Roma.

Ah, naturalmente lo scandalo qual era? La vittoria della Juventus, giunta al termine di una partita caratterizzata da un arbitraggio insufficiente di Gianluca Rocchi, un internazionale peraltro; e un arbitraggio che aveva penalizzato entrambe: due rigori dubbi, uno per parte; un altro possibile rigore reclamato dai bianconeri e non concesso dal direttore di gara (e menomale, si era a inizio gara, la concessione del penalty avrebbe comportato l'espulsione del difensore e la partita sarebbe parsa indirizzata); quanto al goal di Bonucci con fuorigioco di Vidal, con le regole attuali era buono; poi le regole si possono ridiscutere, ma non di certo nel corso di una gara; ma sappiamo che cambiare le regole in corsa è un vezzo tutto giallorosso, che già ha fruttato loro lo scudetto del 2001 (anziché una seria grana disciplinare per lo scandalo degli extracomunitari, dalle stalle alle stelle, ope legis).

Eppure c'è qualcosa che non torna, anzi torna sin troppo bene. Sì, perché si trattava pur sempre di una partita della sesta giornata del girone di andata del campionato ed era stata preparata, in coro multipartisan, da tutto il mondo antibianconero (perché chi non è con la Juve è CONTRO la Juve, la neutralità in questo particolarissimo caso non è mai esistita), quasi fosse una finale senza appello.
La cosa importante non era tanto e solo il risultato nudo e crudo, ma il messaggio che doveva passare: la caccia alla zebra è aperta, per cacciatori e bracconieri.

La partita scelta non poteva essere che Juve-Roma, per il semplice fatto che la Roma è l'unico avversario credibile dei bianconeri in questa povera serie A.
Che fosse una caccia era stato evidente sin dalla preparazione del match, arrivata piuttosto da lontano, con i tifosi bianconeri forse un po' distratti dall'insulsa polemica interna sul cambio di allenatore; erano parse in fondo le solite battute beote di personaggi fatui, che nulla avevano a che spartire, nemmeno lontanamente, con l'idea di calcio: il duetto Bonolis-Benigno, tale Sara Tommasi, Pif, un ex giocatore bilioso come Boniek (oltre all'immancabile Zeman, ma che ne parliamo a fare?), tutte semplici espressioni di pessimo gusto e di rosicamento aggravato.

Poi quella che si avvia a diventare la madre di tutte le partite: mi ripeto, solo una partita con una direzione infelice sotto tutti i punti vista, ma in entrambe le direzioni; costellata da quelli che nel calcio pulito del dopo 2006 erano stati ribattezzati episodi. Sino a domenica 5 ottobre, la data in cui hanno ripreso la primitiva natura di furti. Pronti a far scatenare una nuova Farsopoli.
Ora, comprensibile che a lamentarsi alla fine sia chi la partita l'ha persa. Però, a prescindere dal fatto che costoro hanno la memoria corta e non ricordano per esempio gli episodi (allora si chiamavano ancora così) di Roma-Juve di Coppa Italia dello scorso anno né altri aiutini di cui hanno spesso fruito in un recente passato, la gazzarra inscenata sin dalla fine della gara dai tesserati giallorossi, oltre che vergognosa, è apparsa, e ancor più appare a mente fredda, inquietante; alla loro testa capitan Totti, preventivamente all'uopo elevato nei giorni precedenti a icona del calcio italiota, pronto e impudente nello scagliare accuse infami ancorché assolutamente pretestuose. Ben supportato dal resto del pollaio giallorosso.

Eccezion fatta per il presidente Pallotta, che mica per niente arriva da lontano, dall'America, portatore di una cultura diversa, di sport e d'impresa, che riporta la questione nel suo alveo naturale, quello di una partita sportiva nell'arco di un campionato nell'ambito del quale sprona la sua squadra a far vedere il suo valore.
"Dovremmo fare tutti un respiro profondo e calmarci un po'". Esortazione sacrosanta, un invito ad abbassare i toni che la tifoseria, compresi i media, dalla carta stampata (non si riesce più a chiamarli giornalisti tanto appaiono lontani dalla tradizione del vero grande giornalismo e più vicini agli abitanti della Curva Sudde) alle starnazzanti radio romane, portatrici di messaggi deliranti intrisi di astio e di altri sentimenti negativi che nulla hanno a che fare con lo sport.
Tutto un concerto, tra addetti ai lavori e media, che richiama tanto sinistramente alla memoria i venti di guerra farsopolari miranti a incanalare il sentimento popolare in direzioni preordinate.

E, oggi come allora, si punta verso l'alto. Perché si è scomodato il solito giornalista di grido (in tutti i sensi, visto il tono urlato che gli è proprio), quel Marco Travaglio che, dal consueto e ormai trito bersaglio che è Moggi, il suo eterno incubo, ha alzato la mira verso l'attuale presidente, Andrea Agnelli, che ha avuto il torto, a suo dire, di spodestare quella magnifica perdente col sorriso che era la Juve Smile di Blanc e Cobolli, per ripetere le gesta della Triade: che altro non erano se non la costruzione di una Juve vincente.
E inquieta questo spiegamento di forze capitanato da un quotidiano non sportivo come il Fatto Quotidiano non solo col solito inguaribile Travaglio (impegnato a chiamarsi fuori dal gruppo dei tifosi juventini lobotomizzati, detto da lui è una medaglia), ma anche con Malcom Pagani, ad esempio. Sì, perché ci sta che due quotidiani romani come il Corsport del ben noto De Paola e il Messaggero siano i maggiori responsabili della guerra di insulti e maligne quanto menzognere insinuazioni in atto dopo Juve-Roma, con tutti gli altri media pronti ad accodarsi vuoi per Dna (gruppo Rcs), vuoi per inclinazione, vuoi per non perdere la scia delle già magrissime tirature.

Però ritirare in ballo Moggi, la Triade e Farsopoli per poi puntare dritti alla testa del club, rappresentata da Andrea Agnelli, portando il tutto fuori dal seminato di un calcio in disfacimento e seminando nuovamente il seme (facile ad attecchire) del dubbio che la Juventus sia il male assoluto del calcio, non solo italiano, è un preoccupante quanto inconfondibile e ineludibile segnale che la posta in gioco sia ben più alta, adesso.

Una Juve tornata vincente è qualcosa di assai sgradito, anzi, inaccettabile. Ma farla fuori all'insegna dello sport, quello vero, è difficile, vista la disabitudine italiota a tale prassi; sappiamo benissimo che la via maestra è quella dell'inciucio, sollevato mediaticamente (a fronte anche al sinistro enigma di una proprietà inerte, ché in Rcs John Jacob Philip Elkann non è esattamente l'addetto alla pulizia dei cessi, per dire) e travasato sul campo: tranquilli, d'ora in poi la Roma verrà sospinta a forza di episodi verso l'alto.
Ma questo non farà che trascinare ancora più in basso il calcio italiano, la sua qualità e la sua immagine. Perché un calcio in cui si vince insultando e infamando i dirigenti dei club concorrenti (Totti dovrebbe vergognarsi, se ancora gliene rimane al netto degli sputi e dei fallacci di cui la sua carriera è costellata) o odiati (nel caso di qualche conduttore - ma chi gli ha dato la patente? - come il ben noto Pistocchi) è quanto di più lontano dallo sport (e da quell'etica di cartone tanto sbandierata) si possa immaginare.

A tutti costoro verrebbe da dire, rubando il mantra a Bonucci, "sciacquatevi la bocca", quando parlate della Juve, di Moggi, della Triade, di Agnelli, di Nedved.
Ma non basta.
C'è chi deve abbassare i toni, e chi invece non deve assolutamente abbassare la guardia.
Dunque, per la Juventus e i suoi tifosi, c'è una sola esortazione, da non dimenticare, e da mettere in pratica, giorno dopo giorno.

Non abbassiamo la guardia!
In difesa del passato, del presente e del futuro della nostra Juventus.

FINO ALLA FINE!!!!!!


Carmen Vanetti

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