lunedì 9 dicembre 2013

CONTE, L'ORCHESTRA E LO SPARTITO

Conte, l'orchestra e lo spartito




La metafora preferita da Conte per indicare la sua Juve è quella dell'orchestra che suona uno spartito: a ciascuno il suo strumento e la musica, con il gioco fluisce, armonioso, con i suoi adagio e i suoi andante che poi passano al rapido e al vivace per sorprendere l'avversario e portare a casa il risultato.
Qualcuno ha anche un po' fatto dell'ironia su questa ricorrente immagine utilizzata dal mister, ma forse è proprio la più azzeccata per esprimere ciò che davvero Conte vuole dalla sua squadra.
Ed è forse questo uno degli elementi che gli ha consentito di fare, da due anni, la differenza in un campionato dove si spera soprattutto nella giocata del singolo che decide la partita; ma quando questa manca non solo non arriva il risultato, ma il gioco latita ed è noioso come una cantilena stonata.
E' il segreto delle fortune della squadra: e risulta ancor più evidente adesso quando, rispetto all'inizio dell'era Conte, ci sono più interpreti  validi sul piano individuale.

Ma è anche il segreto della crescita dei singoli.
La prima riprova, per contrasto, si vede, in qualche giocatore che Conte, facendo peraltro di necessità virtù, aveva portato a degnamente figurare in campo nazionale ed anche internazionale: prendiamo come esempio Matri, che il mister utilizzava spesso sfruttandone al massimo le doti, pur non eccelse sul piano tecnico. Arrivato a Torino nel gennaio 2011 (era ancora la Juve di Del Neri) per una cifra rilevante (Cellino pretese 18 milioni tra prestito e riscatto) sulla scia degli 11 goal messi a segno nella prima parte della stagione, il lodigiano, non certo elemento di classe cristallina e comunque privo delle stimmate del bomber rapace alla Trezegol, nell'orchestra di Conte aveva saputo rendersi utile nella partecipazione alla manovra d'attacco, e non importa se poi a finire sul tabellino dei marcatori erano i centrocampisti come Marchisio e Vidal. Passato al Milan nel corso dell'ultima campagna estiva di mercato, è indicato ora dai media come uno dei flop del mercato stesso: senza lo spartito da suonare, inserito in meccanismi che non gli sono consueti, il ventinovenne attaccante ha perso efficacia e morale e vaga nella zona avanzata del campo, quando Allegri lo schiera (e le occasioni sono sempre più rare), smarrito e sterile (un solo goal sinora).

Fa impressione, al contrario, la crescita costante, in maglia bianconera, di tantissimi giocatori.
Un esempio, forse perché il più eclatante, è quello di Pogba: certo, le doti naturali del giovane francese sono immense, ma la cura Conte ha funzionato da acceleratore, trovandogli in campo la posizione in cui può risultare letale e spingendolo sulla via della concretezza; ricordiamo le parole di Angelo Alessio dopo un'ottima prestazione contro il Bologna, condita da una doppietta, il 31 ottobre 2012: "conoscendo Antonio fa poca strada se non lascia da parte i virtuosismi..."; ma il ragazzo alla classe innata unisce anche una buona testa e ha imparato ad interpretare lo spartito inserendovi le sue chicche solo dove previsto: ed ora per Conte è inamovibile.
Poi c'è Vidal, arrivato forse un po' in sordina; ma Conte ci ha messo niente ad individuarne le grandissime potenzialità e, smentendo tutti coloro che ne facevano un talebano rigidamente ancorato ad una sua idea di gioco, intelligentemente, ha sempre adottato di volta in volta lo spartito che gli permettesse di sfruttare al meglio le forze a disposizione, soprattutto quando c'era un top player: e Vidal lo era, così come Pirlo, altro dono piovuto dal mercato che bisognava capitalizzare al massimo.
Poi Asamoah, cui Conte ha ritagliato una parte per la quale non aveva interpreti, parte che il ghanese ha imparato con tanto impegno e diligenza.
La cosa si sta ripetendo con Angelo Ogbonna, un difensore cui non mancano fisico, centimetri e chili, ma neanche la capacità di avviare l'azione e di partecipare alla manovra corale: certo, finora, ha sempre suonato in orchestrine di periferia, ma ora cresce, gara dopo gara.

Tutti gli interpreti hanno sempre suonato lo spartito del mister, pena la panchina; i nuovi rimangono a studiare finché l'interpretazione non si riveli all'altezza. In questo modo assenze a volte anche sanguinose non incidono più di tanto sulla prestazione dell'insieme. Certo, quando mancano un Pirlo o un Tevez, le loro caratteristiche giocate possono mancare, ma l'organizzazione, sia in fase di possesso palla che in fase di non possesso, rimane quella. E' bastato vedere come un centrocampista, peraltro un vero top player, assai eclettico, come Vidal, abbia saputo inserirsi al centro della difesa in un momento reso assai critico a causa di assenze e squalifiche.
E basta anche vedere come giocatori che qualitativamente non sono certo al top della gamma, tipo un Peluso, una volta chiamati a interpretare il pezzo, lo facciano dignitosamente, senza pregiudicare la validità dell'esecuzione globale.

Anche perché il mister a dirigere l'orchestra è sempre lì, non molla mai la presa: e la bacchetta la usa di continuo, anche sulle dita dei suoi, ne sanno qualcosa quelli che giocano sulla fascia, che hanno l'avventura di passargli più vicino. E che però ne fanno tesoro.
E appena i suoi segnano un goal, mentre i suoi festeggiano, lui è già lì a sbracciarsi per indicare i movimenti successivi. Perché  l'orchestra non può mai smettere di suonare.


Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor

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