Conte, l'orchestra e lo spartito
La metafora preferita da Conte per indicare la sua Juve è quella
dell'orchestra che suona uno spartito: a ciascuno il suo strumento e la
musica, con il gioco fluisce, armonioso, con i suoi adagio e i suoi andante che
poi passano al rapido e al vivace per sorprendere l'avversario e portare a casa
il risultato.
Qualcuno ha anche un po' fatto dell'ironia su questa ricorrente immagine
utilizzata dal mister, ma forse è proprio la più azzeccata per esprimere ciò che
davvero Conte vuole dalla sua squadra.
Ed è forse questo uno degli elementi che gli ha consentito di fare, da due
anni, la differenza in un campionato dove si spera soprattutto nella giocata del
singolo che decide la partita; ma quando questa manca non solo non arriva il
risultato, ma il gioco latita ed è noioso come una cantilena stonata.
E' il segreto delle fortune della squadra: e risulta ancor più evidente
adesso quando, rispetto all'inizio dell'era Conte, ci sono più interpreti
validi sul piano individuale.
Ma è anche il segreto della crescita dei singoli.
La prima riprova, per contrasto, si vede, in qualche giocatore che Conte,
facendo peraltro di necessità virtù, aveva portato a degnamente figurare in
campo nazionale ed anche internazionale: prendiamo come esempio Matri, che il
mister utilizzava spesso sfruttandone al massimo le doti, pur non eccelse sul
piano tecnico. Arrivato a Torino nel gennaio 2011 (era ancora la Juve di Del
Neri) per una cifra rilevante (Cellino pretese 18 milioni tra prestito e
riscatto) sulla scia degli 11 goal messi a segno nella prima parte della
stagione, il lodigiano, non certo elemento di classe cristallina e comunque
privo delle stimmate del bomber rapace alla Trezegol, nell'orchestra di
Conte aveva saputo rendersi utile nella partecipazione alla manovra d'attacco, e
non importa se poi a finire sul tabellino dei marcatori erano i centrocampisti
come Marchisio e Vidal. Passato al Milan nel corso dell'ultima campagna estiva
di mercato, è indicato ora dai media come uno dei flop del mercato stesso: senza
lo spartito da suonare, inserito in meccanismi che non gli sono consueti, il
ventinovenne attaccante ha perso efficacia e morale e vaga nella zona avanzata
del campo, quando Allegri lo schiera (e le occasioni sono sempre più rare),
smarrito e sterile (un solo goal sinora).
Fa impressione, al contrario, la crescita costante, in maglia bianconera,
di tantissimi giocatori.
Un esempio, forse perché il più eclatante, è quello di Pogba: certo, le
doti naturali del giovane francese sono immense, ma la cura Conte ha funzionato
da acceleratore, trovandogli in campo la posizione in cui può risultare letale e
spingendolo sulla via della concretezza; ricordiamo le parole di Angelo Alessio
dopo un'ottima prestazione contro il Bologna, condita da una doppietta, il 31
ottobre 2012: "conoscendo Antonio fa poca strada se non lascia da parte i
virtuosismi..."; ma il ragazzo alla classe innata unisce anche una buona testa e
ha imparato ad interpretare lo spartito inserendovi le sue chicche solo dove
previsto: ed ora per Conte è inamovibile.
Poi c'è Vidal, arrivato forse un po' in sordina; ma Conte ci ha messo
niente ad individuarne le grandissime potenzialità e, smentendo tutti coloro che
ne facevano un talebano rigidamente ancorato ad una sua idea di gioco,
intelligentemente, ha sempre adottato di volta in volta lo spartito che gli
permettesse di sfruttare al meglio le forze a disposizione, soprattutto quando
c'era un top player: e Vidal lo era, così come Pirlo, altro dono piovuto dal
mercato che bisognava capitalizzare al massimo.
Poi Asamoah, cui Conte ha ritagliato una parte per la quale non aveva
interpreti, parte che il ghanese ha imparato con tanto impegno e
diligenza.
La cosa si sta ripetendo con Angelo Ogbonna, un difensore cui non mancano
fisico, centimetri e chili, ma neanche la capacità di avviare l'azione e di
partecipare alla manovra corale: certo, finora, ha sempre suonato in orchestrine
di periferia, ma ora cresce, gara dopo gara.
Tutti gli interpreti hanno sempre suonato lo spartito del mister, pena la
panchina; i nuovi rimangono a studiare finché l'interpretazione non si riveli
all'altezza. In questo modo assenze a volte anche sanguinose non incidono più di
tanto sulla prestazione dell'insieme. Certo, quando mancano un Pirlo o un Tevez,
le loro caratteristiche giocate possono mancare, ma l'organizzazione, sia
in fase di possesso palla che in fase di non possesso, rimane quella. E' bastato
vedere come un centrocampista, peraltro un vero top player, assai eclettico,
come Vidal, abbia saputo inserirsi al centro della difesa in un momento reso
assai critico a causa di assenze e squalifiche.
E basta anche vedere come giocatori che qualitativamente non sono certo al
top della gamma, tipo un Peluso, una volta chiamati a interpretare il pezzo, lo
facciano dignitosamente, senza pregiudicare la validità dell'esecuzione
globale.
Anche perché il mister a dirigere l'orchestra è sempre lì, non molla mai la
presa: e la bacchetta la usa di continuo, anche sulle dita dei suoi, ne sanno
qualcosa quelli che giocano sulla fascia, che hanno l'avventura di passargli più
vicino. E che però ne fanno tesoro.
E appena i suoi segnano un goal, mentre i suoi festeggiano, lui è già lì a
sbracciarsi per indicare i movimenti successivi. Perché l'orchestra non può mai
smettere di suonare.
Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
Twitter: @JuveGrandeAmor
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