Quattro pigne e via! La cooperativa Juve va...
"Cosa si può fare? Un cazzo, una minchia. Non si può fare una
minchia!" disse
Antonino Pulvirenti lo scorso anno dopo la chiacchieratissima Catania-Juve, lamentandosi per la direzione arbitrale, per quelli che altrove vengono definiti
episodi. Lo può ripetere, stavolta sì a buon diritto, dopo il poker e la lezione
di calcio impartita da una Juve 'a rotazione' al suo Catania, che nulla ha potuto fare per evitare il tracollo: quattro reti che
parlano di una sola squadra in campo, che ha fatto il bello e il cattivo tempo,
rischiando anche di farsi male da sola (vero, Bonucci?) e che ha messo in
vetrina quattro perle con Vidal, sino allora decisamente scialbo (al punto che
Conte aveva già dato inizio alla sua tattica minatoria facendo scaldare un
sempre scalpitante Pogba), con la solita splendida punizione del solito Pirlo
(se sta, unico italiano, nei 23 candidati al Pallone d'Oro una ragione ci sarà
pure), con il solito generosissimo Tevez, autore di un'altra prestazione da
incorniciare impreziosita da un gran bel goal (a conferma che era davvero il top
player che mancava in casa Juve) e con Bonucci, che si è fatto così perdonare
un'altra gara non certo memorabile e non priva di qualche pericolosa
amnesia.
Non è stata la gara perfetta, era piaciuta di più la Juve vista contro il
Genoa, dove il ritmo era stato decisamente più alto e si era vista una squadra a
tratti di nuovo assatanata; ma questa Juve è stata più cinica e forse ha trovato
anche un avversario meno arroccato rispetto ai rossoblu: l'inizio sia del primo
che del secondo tempo non sono stati memorabili, non sono mancati quei sintomi
di sufficienza e di superficialità che più volte quest'anno sono costati cari
agli uomini di Conte (al 15' solo un provvidenziale salvataggio di Chiellini su
Bergessio ha impedito che si partisse di nuovo da -1), ma l'aver finito la
seconda partita consecutiva senza prendere goal (specie dopo gli obbrobri di
Firenze) è già un segnale positivo.
Un altro segnale positivo è stata la prestazione di De Ceglie che, dopo un
inizio incerto, ha preso via via sicurezza, risultando tra i più continui e
utili per corsa e grinta, e disputando forse la sua miglior partita in
bianconero; e anche Isla ha dato qualche segno di risveglio, più attento,
reattivo e ben piazzato di quanto ci aveva fatto vedere sinora; in progresso
anche Marchisio (partito un po' molle, come Vidal, ma cresciuto alla distanza),
che sta riconquistando la forma migliore dopo l'infortunio; concentratissimo
Chiellini, Caceres riserva di lusso (ma si sapeva); un passetto indietro per
Llorente.
Pogba, quando è entrato, ha dato l'abituale apporto di sostanza e di
presenza fisica: se non fosse perché giocare ogni tre giorni impone una
rotazione degli effettivi, l'ideale sarebbe trovare un modo per far giocare
tutti e quattro i mostri del centrocampo insieme, perché ognuno di loro ha
caratteristiche che lo rendono unico e quasi imprescindibile: tra l'altro
Pogba, pur essendo quello che ha fatto meno vacanze di tutti, è
sorprendentemente quello che meno sembra abbisognare di prender fiato; sarà
merito della giovane età che, se gli lascia in eredità qualche leziosità di
troppo, gli consente di mettere comunque in campo tutta la sua esuberanza e il
suo strapotere fisico, senza necessità di riposare.
Le note stonate: il solito mediocre arbitro Marco Guida, che però stavolta
se l'è sentita di ammonire Pirlo per una simulazione in area, anche se tale non
era; in precedenza ci sarebbe stato anche un rigorello su Tevez, ma Guida era
ancora in modalità 'non me la sento'; poco male, l'Apache si è rifatto da solo
segnando alla sua maniera dopo aver scartato tre avversari, e meritandosi così
la standing ovation di un pubblico che ne ha ammirato il lavoro a tutto campo,
che ne fa il prototipo del perfetto attaccante moderno secondo il verbo di
Conte. E la dedica per stavolta non è stata alle miserie della sua Argentina, ma
alla moglie in attesa del terzo erede.
Ma se erano meritatissimi gli applausi a Tevez, incomprensibili e brutti i
sonori fischi che hanno accompagnato l'ingresso in campo di Marco Motta, entrato
a sostituire Llorente a un quarto d'ora dal termine: un giocatore che entra in
campo con la maglia bianconera sulle spalle va sempre sostenuto; se fa parte
tuttora parte della rosa a disposizione di Conte non è certo perché si sia
incatenato ai cancelli di Vinovo, il mister ha bisogno di tutti e conta su di
tutti e lo dimostra il fatto che abbia scelto lui come terzo cambio.
Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
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