Vicolo cieco? Agnelli non ci sta!
-"Io credo che il governo del calcio, come il governo di qualsiasi
impresa, debba essere svolto ed esercitato dalle giuste competenze e dalle
giuste rappresentanze"; questo calcio è "un figlio del nostro paese, figlio di
dinamiche tipiche del nostro paese"
- "un contesto come quello italiano che
da molto tempo ha sviluppato una radicata cultura di potere e una precaria
cultura di governo".
Sono passati nove mesi tra queste due affermazioni di Andrea Agnelli,
eppure esse riflettono la stessa identica situazione; quelle dinamiche hanno
partorito solo caos e declino, mentre il resto d'Europa procede.
E' un qualcosa sotto gli occhi di tutti; e se è Agnelli a rimarcarlo è
perché la Juventus, che ha intrapreso, da sola, un'altra strada, rischia di
vedersi penalizzata, frenata, ostacolata da un sistema che non le permette di
crescere, perché non le consente di far salire i ricavi, quand'anche le cose
andassero benissimo sul campo: dalla Champions quello che ha ricavato l'anno
scorso è il massimo, non replicabile già quest'anno perché le italiane sono tre
(l'anno scorso l'Udinese fu eliminata ai preliminari e la torta se la divisero
solo Juve e Milan).
Un sistema feudale, di poteri, con i suoi signorotti, immarcescibili, veri
dinosauri che sopravvivono a se stessi: vale per la Lega, ma non solo, in Figc
la musica è la stessa, là l'immobilismo si veste d'incompetenza e decide di non
decidere; in qualche caso, come nella recente questione dei cori di
discriminazione territoriale, ognuno dei due invita l'altro all'azione, col
risultato di acclarare all'esterno una situazione di impotenza: che il mondo
ultras, in particolare quello che viene negli stadi non per amore del calcio o
della maglia ma per affermare a sua volta un proprio demenziale potere in una
zona, ahimè, franca, aveva già ben afferrato e che i club avallano nei fatti: il
recente comunicato rivolto dalle due milanesi a questi soggetti, cui si
riconosce tranquillamente lo status di tifosi, è emblematico del fatto che non
c'è alcuna voglia di prenderne seriamente le distanze; o ce n'è troppa paura,
altro assai inquietante simbolo di debolezza del potere non solo
calcistico.
Ma chi c'è alla presidenza della Lega? Maurizio Beretta: brav'uomo, per
carità, fa intendere lo stesso Andrea Agnelli, ma per mandare avanti la baracca
ci vuol ben altro, sottolinea il numero uno bianconero: "un presidente di
rappresentanza, che può essere uno di noi" (da scegliere possibilmente tra chi
non abbia scheletri nell'armadio, direi), "un amministratore delegato e
competenze specifiche". Quindi persone che mettano tempo e professionalità nel
"governare" (questo è l'apriti Sesamo) nell'interesse collettivo: perché o si va
avanti tutti insieme o nessuno può farlo da solo; però tutto ciò non può
inquadrarsi in un sistema retto da personaggi legati a mentalità medievali che
contemplano un solo reggitore, o al massimo 'due soli'. Ma il mondo ha
camminato, da allora. Come si governa Andrea l'ha dimostrato alla Juve, con un
impegno totalizzante del suo tempo e con la cooptazione di professionalità
specifiche (anche se deve convivere ancora con qualche palla al piede di
derivazione elkanniana).
Come mai Beretta è ancora lì? Non si era dimesso per i suoi impegni in
Unicredit? In effetti sì, ma per il duo Galliani-Lotito appariva troppo
minacciosa la sua sostituzione con qualcuno che poteva (almeno potenzialmente)
avere idee innovatrici in grado di mettere in discussione quel mummificato
status quo e le dinamiche figlie del nostro paese: invece il ventriloquo Beretta
traduce letteralmente in forma ufficiale gli intendimenti di Lotito (se già
nella precedente gestione si era guadagnato sul campo il nomignolo 'dimmi
Claudio' una ragione ci sarà pur stata) e della corazzata Galliani, lui che
presidente di Lega è stato per la prima volta nel 2002, poi rieletto nel 2005 in
una situazione così problematica che il poltronissimo Carraro, per calmare le
acque, già il 26 novembre 2004 suggeriva a Bergamo un addomesticamento
anti-Juve, lui uscito incolume da Calciopoli, nonostante fosse il riferimento
esplicito di Meani che ispirava l'esercito degli sbandieratori della domenica;
mentre Moggi, pur non aduso a incontri carbonari in ristoranti in turno di
chiusura, è stato espulso dal mondo del calcio.
Suvvia, non penseremo certo che, se la situazione di Lega non fosse questa,
qualsiasi Consiglio di Lega dotato di comune senso del pudore avrebbe approvato
quell'insensata delibera che praticamente assegna quasi per intero l'incasso
della Supercoppa a Lotito in nome di un danno inesistente (e per di più in una
situazione creata dalla Lega stessa, incapace persino di predisporre a tempo
debito il calendario della stagione)?!
E al seguito di Galliani e Lotito la schiera di valvassori e valvassini a
costruire un consiglio con 'dinamiche figlie di un continuo mercanteggiare su
posizione', con 'scambi di poltrone per arrivare al consenso'; niente di nuovo
in quest'Italia, per carità, se non fosse che questo pseudogoverno rappresenta
il 30% del calcio italiano, senza peraltro che ciò abbia comportato nemmeno
l'ingresso nel Consiglio di Lega di professionalità qualificate. Quale
arricchimento possono portare ad un movimento calcistico bisognoso di una grande
spinta personaggi come Cellino, Pulvirenti, Cairo, Guaraldi? A partecipare ai
consessi internazionali (rappresentante italiano all'Eca insieme al rossonero
Gandini, interventi a Leaders in Football e a Football's Global Players), ad
essere richiesto per interviste da prestigiosi media inglesi e americani
è sempre Andrea Agnelli, facilitato non solo da un'ottima conoscenza della
lingua inglese, ma anche dalla capacità di esprimere opinioni e formulare
proposte che esorbitino dal proprio orticello e di collocarsi sul piano di
interessi generali.
In Federazione non sono messi meglio: basti dire che in testa c'è Abete,
che era già vicepresidente Federale nel pre-Calciopoli, lui che non sa bene cosa
sia successo in quell'estate, forse la prima incompetenza, perché se ne andò a
Berlino come capodelegazione ai Mondiali e rientrò in Federazione solo ad aprile
2007, con una verginità ristabilita. E troppi personaggi che lo attorniano erano
già lì nel 2006, gente come Sandulli, per esempio. E parteciparono a quello
scempio che avrebbe dovuto rappresentare, secondo tanti parrucconi, lo
spartiacque verso un calcio pulito; in realtà l'immondizia rimase tutta là
dentro, dimenticata come tante telefonate e qualche testimone ignorato. E il
fetore ha ormai contagiato l'intero ambiente. Tutto il resto son state solo
chiacchiere, come tutto il blaterare su vagheggiate riforme della giustizia
sportiva, impossibili non solo da attuare, ma anche solo da pensare, se
l'ambiente, idee guida e personaggi è rimasto quello medievale, con i suoi
poteri mummificati; il must è ancora il mostro in prima pagina: in Calciopoli
era Moggi, in Scommessopoli è stato Conte; e pazienza se le mele marce erano
altre e son rimaste nel cesto, sono sicuramente in buona compagnia.
Come uscirne? Difficile, quasi impossibile, dirlo. Perché l'egoistica
miopia di una classe in disfacimento sembra preludere ad una decadenza
progressiva e inarrestabile. Per cambiare strada ci vuole coraggio, onestà
intellettuale, disponibilità a mettere in discussione poteri e gerarchie in nome
di un bene comune e a comprendere che è meglio condividere il benessere che
regnare sulla miseria. Diversamente si resta in un vicolo cieco, una trappola
letale anche per chi ha idee, nerbo e aspirazioni.
Una cosa è certa: gli altri non ci aspetteranno. Al Football's Global
Player, organizzato a Zurigo dalla International Football Arena, giunto alla sua
quindicesima edizione e i cui lavori sono stati aperti dal Presidente della
Fifa, Joseph Blatter, tutte le discussioni si sono concentrate sul futuro del
calcio tra 15 anni, affrontando i diversi punti di vista, dai giocatori ai club,
dalle nuove tecnologie agli stadi. Andrea Agnelli, lui, fra 15 anni vuole essere
ancora lì, a ragionare sul futuro: ma del calcio italiano, per il quale domani
significa solo 'il giorno dopo', cosa potrebbe essere a quel punto? Ecco perché
la lotta di Andrea sarà anche quella di cercare alleati, non complici e non
servi sciocchi e interessati, per cambiare dall'interno il nostro calcio, per
passare dal potere al governo.
Possiamo solo augurargli buona fortuna, ne avrà bisogno; e potrebbe non
bastare.Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
Twitter: @JuveGrandeAmor
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