martedì 29 ottobre 2013

VICOLO CIECO? AGNELLI NON CI STA!

Vicolo cieco? Agnelli non ci sta!






-"Io credo che il governo del calcio, come il governo di qualsiasi impresa, debba essere svolto ed esercitato dalle giuste competenze e dalle giuste rappresentanze"; questo calcio è "un figlio del nostro paese, figlio di dinamiche tipiche del nostro paese"
- "un contesto come quello italiano che da molto tempo ha sviluppato una radicata cultura di potere e una precaria cultura di governo".

Sono passati nove mesi tra queste due affermazioni di Andrea Agnelli, eppure esse riflettono la stessa identica situazione; quelle dinamiche hanno partorito solo caos e declino, mentre il resto d'Europa procede.
E' un qualcosa sotto gli occhi di tutti; e se è Agnelli a rimarcarlo è perché la Juventus, che ha intrapreso, da sola, un'altra strada, rischia di vedersi penalizzata, frenata, ostacolata da un sistema che non le permette di crescere, perché non le consente di far salire i ricavi, quand'anche le cose andassero benissimo sul campo: dalla Champions quello che ha ricavato l'anno scorso è il massimo, non replicabile già quest'anno perché le italiane sono tre (l'anno scorso l'Udinese fu eliminata ai preliminari e la torta se la divisero solo Juve e Milan).

Un sistema feudale, di poteri, con i suoi signorotti, immarcescibili, veri dinosauri che sopravvivono a se stessi: vale per la Lega, ma non solo, in Figc la musica è la stessa, là l'immobilismo si veste d'incompetenza e decide di non decidere; in qualche caso, come nella recente questione dei cori di discriminazione territoriale, ognuno dei due invita l'altro all'azione, col risultato di acclarare all'esterno una situazione di impotenza: che il mondo ultras, in particolare quello che viene negli stadi non per amore del calcio o della maglia ma per affermare a sua volta un proprio demenziale potere in una zona, ahimè, franca, aveva già ben afferrato e che i club avallano nei fatti: il recente comunicato rivolto dalle due milanesi a questi soggetti, cui si riconosce tranquillamente lo status di tifosi, è emblematico del fatto che non c'è alcuna voglia di prenderne seriamente le distanze; o ce n'è troppa paura, altro assai inquietante simbolo di debolezza del potere non solo calcistico.

Ma chi c'è alla presidenza della Lega? Maurizio Beretta: brav'uomo, per carità, fa intendere lo stesso Andrea Agnelli, ma per mandare avanti la baracca ci vuol ben altro, sottolinea il numero uno bianconero: "un presidente di rappresentanza, che può essere uno di noi" (da scegliere possibilmente tra chi non abbia scheletri nell'armadio, direi), "un amministratore delegato e competenze specifiche". Quindi persone che mettano tempo e professionalità nel "governare" (questo è l'apriti Sesamo) nell'interesse collettivo: perché o si va avanti tutti insieme o nessuno può farlo da solo; però tutto ciò non può inquadrarsi in un sistema retto da personaggi legati a mentalità medievali che contemplano un solo reggitore, o al massimo 'due soli'. Ma il mondo ha camminato, da allora. Come si governa Andrea l'ha dimostrato alla Juve, con un impegno totalizzante del suo tempo e con la cooptazione di professionalità specifiche (anche se deve convivere ancora con qualche palla al piede di derivazione elkanniana).
Come mai Beretta è ancora lì? Non si era dimesso per i suoi impegni in Unicredit? In effetti sì, ma per il duo Galliani-Lotito appariva troppo minacciosa la sua sostituzione con qualcuno che poteva (almeno potenzialmente) avere idee innovatrici in grado di mettere in discussione quel mummificato status quo e le dinamiche figlie del nostro paese: invece il ventriloquo Beretta traduce letteralmente in forma ufficiale gli intendimenti di Lotito (se già nella precedente gestione si era guadagnato sul campo il nomignolo 'dimmi Claudio' una ragione ci sarà pur stata) e della corazzata Galliani, lui che presidente di Lega è stato per la prima volta nel 2002, poi rieletto nel 2005 in una situazione così problematica che il poltronissimo Carraro, per calmare le acque, già il 26 novembre 2004 suggeriva a Bergamo un addomesticamento anti-Juve, lui uscito incolume da Calciopoli, nonostante fosse il riferimento esplicito di Meani che ispirava l'esercito degli sbandieratori della domenica; mentre Moggi, pur non aduso a incontri carbonari in ristoranti in turno di chiusura, è stato espulso dal mondo del calcio.
Suvvia, non penseremo certo che, se la situazione di Lega non fosse questa, qualsiasi Consiglio di Lega dotato di comune senso del pudore avrebbe approvato quell'insensata delibera che praticamente assegna quasi per intero l'incasso della Supercoppa a Lotito in nome di un danno inesistente (e per di più in una situazione creata dalla Lega stessa, incapace persino di predisporre a tempo debito il calendario della stagione)?!
E al seguito di Galliani e Lotito la schiera di valvassori e valvassini a costruire un consiglio con 'dinamiche figlie di un continuo mercanteggiare su posizione', con 'scambi di poltrone per arrivare al consenso'; niente di nuovo in quest'Italia, per carità, se non fosse che questo pseudogoverno rappresenta il 30% del calcio italiano, senza peraltro che ciò abbia comportato nemmeno l'ingresso nel Consiglio di Lega di professionalità qualificate. Quale arricchimento possono portare ad un movimento calcistico bisognoso di una grande spinta personaggi come Cellino, Pulvirenti, Cairo, Guaraldi? A partecipare ai consessi internazionali (rappresentante italiano all'Eca insieme al rossonero Gandini, interventi a Leaders in Football e a Football's Global Players), ad essere richiesto per interviste da prestigiosi media inglesi e americani è sempre Andrea Agnelli, facilitato non solo da un'ottima conoscenza della lingua inglese, ma anche dalla capacità di esprimere opinioni e formulare proposte che esorbitino dal proprio orticello e di collocarsi sul piano di interessi generali.

In Federazione non sono messi meglio: basti dire che in testa c'è Abete, che era già vicepresidente Federale nel pre-Calciopoli, lui che non sa bene cosa sia successo in quell'estate, forse la prima incompetenza, perché se ne andò a Berlino come capodelegazione ai Mondiali e rientrò in Federazione solo ad aprile 2007, con una verginità ristabilita. E troppi personaggi che lo attorniano erano già lì nel 2006, gente come Sandulli, per esempio. E parteciparono a quello scempio che avrebbe dovuto rappresentare, secondo tanti parrucconi, lo spartiacque verso un calcio pulito; in realtà l'immondizia rimase tutta là dentro, dimenticata come tante telefonate e qualche testimone ignorato. E il fetore ha ormai contagiato  l'intero ambiente.  Tutto il resto son state solo chiacchiere, come tutto il blaterare su vagheggiate riforme della giustizia sportiva, impossibili non solo da attuare, ma anche solo da pensare, se l'ambiente, idee guida e personaggi è rimasto quello medievale, con i suoi poteri mummificati; il must è ancora il mostro in prima pagina: in Calciopoli era Moggi, in Scommessopoli è stato Conte; e pazienza se le mele marce erano altre e son rimaste nel cesto, sono sicuramente in buona compagnia.

Come uscirne? Difficile, quasi impossibile, dirlo. Perché l'egoistica miopia di una classe in disfacimento sembra preludere ad una decadenza progressiva e inarrestabile. Per cambiare strada ci vuole coraggio, onestà intellettuale, disponibilità a mettere in discussione poteri e gerarchie in nome di un bene comune e a comprendere che è meglio condividere il benessere che regnare sulla miseria. Diversamente si resta in un vicolo cieco, una trappola letale anche per chi ha idee, nerbo e aspirazioni.

Una cosa è certa: gli altri non ci aspetteranno. Al Football's Global Player, organizzato a Zurigo dalla International Football Arena, giunto alla sua quindicesima edizione e i cui lavori sono stati aperti dal Presidente della Fifa, Joseph Blatter, tutte le discussioni si sono concentrate sul futuro del calcio tra 15 anni, affrontando i diversi punti di vista, dai giocatori ai club, dalle nuove tecnologie agli stadi. Andrea Agnelli, lui, fra 15 anni vuole essere ancora lì, a ragionare sul futuro: ma del calcio italiano, per il quale domani significa solo 'il giorno dopo', cosa potrebbe essere a quel punto? Ecco perché la lotta di Andrea sarà anche quella di cercare alleati, non complici e non servi sciocchi e interessati, per cambiare dall'interno il nostro calcio, per passare dal potere al governo.
Possiamo solo augurargli buona fortuna, ne avrà bisogno; e potrebbe non bastare.


Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor




Nessun commento:

Posta un commento