venerdì 15 novembre 2013

BIMBI NELLE CURVE CHIUSE? OTTIMA IDEA, MA NON BASTA...

Bimbi nelle curve chiuse? Ottima idea, ma non basta...



L'idea era già circolata allo Juventus Stadium subito dopo che quei cori idioti e proibiti avevano deturpato lo spettacolo di una partita impreziosita dalla zampata di Llorente, dalla pennellata di Pirlo, dalla pazzesca sassata di Pogba e dalle parate di Reina: le sanzioni erano scontate.
L'aveva diffusa Tuttosport: finalmente un quotidiano che si è proposto come latore di una proposta positiva e concreta, dopo anni in cui l'aveva fatta da padrone chi aveva come mission quella di orientare l'opinione pubblica; con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, a 360°.
La proposta ha rapidamente attecchito tra la popolazione dei social ed è giunta anche alle orecchie dei potenti, che in quei momenti si trovavano a fronteggiare tre scempi del nostro calcio: dai fatti di Salerno ai cori degli ultras  e alle violenze dei tifosi napoletani in trasferta, anche se questa terza vergogna, gravissima, ha inspiegabilmente avuto minor risonanza rispetto alle altre due.
La Juventus, che per l'educazione delle giovani generazioni si sta spendendo da qualche anno con diversi progetti finalizzati all'inclusione e alla crescita integrale della personalità dei ragazzi, non chiede ovviamente di meglio. Se si riuscirà ad ottenere la deroga dalla Figc, che pare disponibile ma bisognerà vedere se sappia di averne competenza, si farà. Ottimo. Ma non  basta. Servirà soprattutto a riportare (per un breve istante, prima che nella mente rispuntino i motivi che hanno portato a ciò) lo Juventus Stadium alla sua funzione, quello di un luogo di festa dello sport, dopo che le immagini di domenica hanno mandato in giro l'impressione di un teatro di battaglia, con rubinetti e maniglie volanti, con spettatori feriti e bambini terrorizzati: non era così che l'aveva sognato Umberto, il papà di Andrea.
Anche noi da questo blog abbiamo esecrato tanta barbarie: ma chi di dovere adesso deve passare dalla pars destruens alla pars construens.
Tutto quanto accaduto, a Salerno e a Torino, non si deve ripetere: non nell'interesse di Salerno e Nocera, della Lega Pro, del Napoli o della Juve, ma per la sopravvivenza del calcio.
Questo nostro calcio, gravemente ammalato, di cui ha ben descritto la situazione Raffaele Cantone, il magistrato autore di 'Football clan', in un articolo de 'Il Messaggero' del 13 novembre 'Storia di un calcio malato'.
Questo nostro calcio che viene curato coi pannicelli caldi quando servirebbe il bisturi. Prima di dover arrivare all'autopsia.
Ormai il male è diffuso e non si è fatto nulla prevenirlo: o ciò che si è fatto non era idoneo o bastante allo scopo, si è peccato di sottovalutazione.

Le responsabilità sono del mondo dello sport, ma non solo: nel Salernitano tutti sapevano che la tensione tra le due tifoserie, di più, tra le due situazioni ambientali, con i rispettivi problemi, era al calor bianco e il livello di attenzione avrebbe dovuto essere massimo;  invece siamo arrivati addirittura a vedere un aereo che scorrazzava libero e selvaggio sopra l'Arechi col suo striscione. Certo, certo, la Lega Pro è la Lega dei campanili, ma i campanari sono evidentemente incompetenti, un vizio diffuso.
E a Torino abbiamo assistito all'ennesima sconfitta, anzi resa senza condizioni, del mondo del calcio davanti a un manipolo di facinorosi.
Assolutamente condannabili gli ultras assiepati nella Nord e nella Sud della Juve, che hanno dato prova di non essere lì per la Juve, ma per dimostrare che potevano cantare quello che volevano; la prossima volta vadano a farlo in una qualsiasi piazza di Torino, se riescono; hanno trasgredito, hanno danneggiato pesantemente la Società sul piano economico, sul piano dell'immagine e anche sul piano del sostegno che le curve possono offrire; e hanno recato un grave danno anche a tantissimi tifosi (loro sì meritano questo appellativo) corretti che per una o due gare non potranno recarsi allo stadio pur se regolarmente abbonati. Hanno violato la regola fondamentale della convivenza civile, che da sola rende inutili pagine e pagine di codici: "La libertà di ciascuno finisce dove inizia quella dell'altro".
Veramente sconcio poi il comportamento dei tifosi napoletani: vandali e violenti, hanno seminato paura  sugli spalti dove tante famiglie avevano portato anche i figlioletti, convinte com'erano che lo spettacolo in programma fosse una partita di calcio, non le prove generali di una guerriglia urbana; e, quel che è peggio, da Napoli non sono arrivati non dico i risarcimenti, ma nemmeno le scuse. E non parliamo di sanzioni; eppure si tratta di reati: ma pare che lo stadio sia diventato una zona franca, in cui al massimo rischi un Daspo, ma non arriva nemmeno quello, altrimenti certa gente sarebbe a già lanciare bombe carta e oggettistica varia a casa propria e non negli stadi. Una vergogna assoluta, nemmeno le tragedie tipo Heysel hanno insegnato nulla. Tant'è vero che anch'esse sono da anni argomento per cori e striscioni, ignorati e impuniti: una barbarie.

Ma perché si è arrivati a tanto? Perché in questo sciagurato Paese qualsiasi misura o provvedimento viene preso sulla spinta dell'emergenza: ed è senz'altro il momento meno adatto, perché l'urgenza toglie la lucidità. Nel caso degli ultras le misure prese per contrastare la discriminazione territoriale non hanno fatto altro, al momento, che consegnare gli stadi ai facinorosi che, persuasi di poter tenere sotto ricatto il mondo del calcio, già sui social progettano nuove imprese: stavolta, nella loro mente dissennata, hanno vinto loro. Hanno sconfitto la società, cioè la Juve. Ma loro per chi tifano? Per se stessi. 
E anche perché, sempre in questo sciagurato Paese, si prendono provvedimenti che ci si dimentica di applicare, si emanano disposizioni che si omette di fare applicare.
Per dirne una, come sono entrate le bombe carta degli ultras napoletani allo Juventus Stadium? E tutte le meraviglie promesse dalla Tessera del tifoso e dal biglietto nominale dove sono finite? E le telecamere di sorveglianza cosa sorvegliano? Chi si porta a casa il pallone? Per le colpe di alcuni singoli ha pagato la collettività: passando sopra con gli scarponi chiodati sopra il principio della responsabilità personale.

Ma andiamo oltre: piangere sul latte versato non serve.
La reazione emotiva sta già scemando.
Il frutto del consulto generale, almeno di chi lo fa con sincerità e non per apparire politically correct sui media, e in realtà fa solo del moralismo d'accatto e da strapazzo, dovrebbe essere una lezione per il futuro.
Futuro che praticamente è già qui, perché questi fatti, in un mondo che divora il tempo e col tempo la memoria, per i media sono già passato, già oggi quasi non ce n'era quasi più traccia, tra la nuova Inter di Thohir e un po' di gossip sugli intrighi amorosi dei calciatori: tutti protagonisti di un calcio in agonia.
Quello che serve è, per l'immediato, un assoluto rigore, non solo punitivo, perché la punizione presuppone già di per sé un danno, ma preventivo, con un controllo assoluto di ciò che entra e di ciò che si verifica negli stadi, l'identificazione dei colpevoli, il loro allontanamento a vita dai luoghi del calcio e, appena ne ricorrano gli estremi, l'applicazione di sanzioni penali.
Massima chiusura dei club di fronte a questi personaggi in cerca di visibilità: e dove l'ambiente è più difficile serve la stretta collaborazione dello Stato (se c'è ancora...). I tifosi corretti non potranno che esser loro grati. Mentre adesso sono legittimamente infuriati: si sono visti sottrarre il loro diritto a sostenere la squadra che amano.

Ma non basta: il cancro non va solo estirpato, bisogna evitare che ricompaia. E l'unico metodo valido è l'educazione, lavorare sulle giovanissime generazioni, per ottenere un cambiamento culturale: certo investire sull'educazione, supportando con ogni mezzo e risorsa le agenzie formative a ciò deputate, le scuole. Ma investire in questo settore non è, se mai lo è stata, una priorità dell'Italia, che lo ha sempre considerato una spesa inutile, improduttiva; ci sono modi più gattopardeschi e, in alternativa, demagogici, per 'sprecare' le risorse di questo povero Paese: “Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”, diceva Gianni Rodari.  Vale anche per l'educazione al vivere civile, che è l'indispensabile complemento del sapere.


Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor

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