Calciopoli? Sì, Moratti, fu una presa in giro!
"Calciopoli? Un’esperienza che ha coinvolto tutto il calcio, pagina
bruttissima: si è preso in giro pubblico e tifosi".
Parole e musica di
Massimo Moratti.
E, alla lettera, si potrebbe anche dargli ragione: ma lo
spirito con cui queste frasi sono state pronunciate non è quello giusto, non lo
è mai stato, e dubitiamo lo sarà mai.
E' vero, Calciopoli è un'esperienza
che ha coinvolto tutto il calcio: dagli spioni e dai gazzettini che, interpreti
del sentimento popolare, si sono sentiti in dovere di orientare l'opinione
pubblica, agli spiati, pedinati, intercettati: finiti in un tritacarne e
sbattuti in prima pagina, esposti al pubblico ludibrio.
Il tutto con
l'intervento risolutore di quella giustizia domestica che ha scelto di
interpretare un sentimento collettivo e di mettersi sulla sua lunghezza d’onda.
I vertici federali? Il presidente federale non ha avuto problemi a trovare
un'altra poltrona, il prode Abete s'è fatto una vacanza in Germania con la
Nazionale mentre Guido Rossi faceva il lavoro sporco cartonando uno scudetto,
poi è salito sul trono dell'incompetenza; l'unico a rimanerci sotto è stato
l'altro vicepresidente, Innocenzo Mazzini; lui aveva creduto a
Franco Baldini: "Se ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo
farò perché io vivo per fare il ribaltone e buttare tutti di sotto dalla
poltrona, io ti salverò, forse"; cos'aveva sbagliato?
Ed anche la
giustizia ordinaria ha fatto la sua parte: con il maggiore (poi colonnello, poi
capo di Gabinetto del Comune di Napoli, perché mica a tutti Calciopoli ha fatto
male, neh) Attilio Auricchio, con i pm capitanati dal dott. Narducci, l'uomo del
'Piaccia o non Piaccia', con il tribunale di Napoli, le sue beghe interne, i
suoi veleni.
Ed è stata una pagina bruttissima, più che una pagina una pièce
grandguignolesca.
Abbiamo visto sulla scena carriere in frantumi e vite
sconvolte.
Ma la parola fine non è ancora stata scritta. Prima che cali il
sipario occorrerà attendere che si esauriscano i tre gradi di giudizio della
giustizia ordinaria; e poi c'è l'Europa: eh sì, perché Moggi, dopo aver
inutilmente percorso tutto l'iter consentitogli dalla giustizia sportiva fino a
Tar e Cassazione, si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che ha
già bacchettato più di una volta il nostro sciagurato Paese: 38 condanne su 63
esaminati (e 14.188 presentati).
E così abbiamo visto gli 'assassini'
salire sul palco delle autorità, per dirla con un'espressione che Pippo Fava
riferiva ad un contesto, ahimè, ben più tragico: anche se le logiche sottese
sono le stesse. La decadenza di un mondo inizia quando si uccidono verità,
onestà e giustizia. Poi la china diventa ripida e si precipita in un batter
d'occhio.
In principio fu il contatto Iuliano-Ronaldo, ovviamente un
pretesto; la causa vera era la frustrazione, di chi non vinceva mai a causa di
un'inguaribile inferiorità manageriale
La Juve, suo malgrado, aveva finito
per pagare dazio nel 2000, con lo scudetto annegato a Perugia; e a gettare
un'ombra inquietante su quell'episodio c'è una frase contenuta nella notifica di
chiusura indagini di Calciopoli, secondo la quale gli indagati si sarebbero
associati "tra loro e con altre persone in corso di identificazione, avendo
già nel passato condizionato l’esito di campionati di calcio di serie A, con
particolare riguardo a quello del 1999/2000, che fu sostanzialmente condizionato
fino alla penultima giornata […] e non riuscendo nell’intento di garantire alla
Juventus la vittoria finale, in quanto gli accordi illeciti già stabiliti
vennero compromessi dal clamore suscitato provocato dall’arbitraggio apertamente
favorevole alla squadra torinese da parte di De Santis".
Chi fischiava,
in quel piovoso pomeriggio di maggio, all'orecchio di un Collina al telefono,
come ce lo riferisce Moggi? "Collina? Sicuramente parlò al telefono con
qualcuno: di chi si trattasse, non lo sapremo mai".
Ma la goccia che
avrebbe fatto traboccare il vaso della frustrazione sarebbe stato il 5 maggio
2002, allorché l'Inter a Roma perse lo scudetto per suo esclusivo demerito
(leggasi: broccaggine); la Juventus quell'anno, ebbe, come sempre, il merito di
crederci fino alla fine.
Da lì il Dossier Ladroni, il pc di Tavaroli in
viaggio per Roma, destinazione via In Selci, dove il maggiore Auricchio si
dedicava con trasporto ad una meticolosa opera, prendi, taglia, cuci, scarta,
nell'ammasso di 170.000 intercettazioni, sfogliando la margherita: interessa,
non interessa. Se c'era di mezzo l'Inter, non interessava. Lo imparò a sue spese
l'assistente Coppola allorché, desideroso di collaborare, si presentò in caserma
e disse che poteva denunciare pressioni ricevute proprio dall’ambiente
nerazzurro per aggiustare un referto arbitrale; ma si sentì rispondere che
"l'Inter non interessa"; e non ve n'è traccia nel verbale redatto dai carabinieri, nonostante si tratti di
una notizia di reato che andava quantomeno riportata e, vivaddio, approfondita.
E la cosa non parve interessare nemmeno a Narducci nel corso del dibattimento in
aula; era troppo impegnato, anche lui, "a correr dietro ai misfatti di
Moggi", scrive la Casoria. 'Quel diavolo d'uomo qualcosa avrà pur
combinato', devono essere stati i suoi pensieri
Invece nulla. E si è dovuto rimediare edificando quella sgangherata cupola che
sta perdendo un sostegno dietro l'altro, e che ormai si libra nell'aria, appesa
ad un palloncino: il gas che sinora lo tiene lassù impedendo al tutti di
sfracellarsi al suolo è dato da quella costruzione fantastica delle schede
svizzere, intercettabili ma non intercettate; così è straordinariamente più
facile appiopparle a chicchessia e far loro dire ciò che fa gioco.
E ad
essere presi in giro, ma è in realtà un eufemismo, sono stati la Juve e i suoi
tifosi. La Juventus è finita in B, grazie ad un gioco di prestigio, in virtù del
quale la somma di sei articoli uno ha prodotto un articolo sei, un
obbrobrio.
Non erano certo stati la Juve e i suoi dirigenti a intrattenere
rapporti telefonici e de visu con arbitri in attività, a chiedere l'arbitro 'che
se sbaglia lui nessuno dice un cazzo' e altre cosucce del genere; nemmeno, per
dirla tutta, a telecomandare le bandierine o a organizzare incontri carbonari in
ristoranti nel turno di chiusura.
Agli inquirenti l'Inter non interessa; e
nemmeno alla giustizia domestica, se è vero, come è vero, che il procuratore
federale Palazzi si è occupato della presenza di illeciti solo quando tutto era
già scivolato in prescrizione; eppure quelle telefonate erano ormai da tempo di
dominio pubblico.
Certo, prescrizione è improcedibilità, non assoluzione
perché i fatti non sussistono: e una lezione su come si comporta chi non ha
nulla da nascondere e la sua dignità e onorabilità come bene supremo da
difendere l'hanno data all'Inter e a Moratti De Santis, Bertini e Dattilo, tre
ex arbitri che hanno ritenuto che non potesse finire così, che qualcuno dovrà
dire, o meglio si dovrà sentir dire, che ha sbagliato, che il sistema Moggi non
esisteva. Che hanno messo insieme un'accozzaglia di persone senza alcun
interesse in comune: avrebbe potuto essere il danaro, peccato che non sia girato
un centesimo.
Diciamo che in un Paese appena un po' civile qualcuno si
sarebbe già posto il problema di indagare su chi ha indagato; l'avvocato
Maurilio Prioreschi, nella sua veemente requisitoria del processo di primo
grado, lo ha chiesto a gran voce: "Questo è un imbroglio! Per questo chiedo
di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica perché vogliamo sapere se
in questo processo c’è un mandante e un killer, o se gli imputati sono stati
sfortunati. Noi propendiamo per la prima ipotesi, perché non è possibile che
tutte le telefonate sfavorevoli all’accusa, TUTTE, siano state occultate e
l’attività di occultamento è continuata per tutta la fase delle indagini
preliminari e fino al dibattimento". E nel maggio 2012, Moggi, come De
Santis, Bertini e Pairetto, ha presentato alla Procura di Roma un
esposto-denuncia contro ignoti in cui chiedono che si indaghi nei confronti di
chi indagò nell'inchiesta su Calciopoli, ovverosia l'allora maggiore dei
carabinieri Attilio Auricchio e i pm Beatrice e Narducci. Ma in tutto ciò
ricordiamoci che siamo nel Paese che ha partorito, per citarne solo uno (per di
più ambientato nello stesso habitat, quello della Procura di Napoli), il caso
Tortora.
Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
Twitter: @JuveGrandeAmor
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