lunedì 25 novembre 2013

CALCIOPOLI? SI', MORATTI, FU UNA PRESA IN GIRO!


Calciopoli? Sì, Moratti, fu una presa in giro!


"Calciopoli? Un’esperienza che ha coinvolto tutto il calcio, pagina bruttissima: si è preso in giro pubblico e tifosi".
Parole e musica di Massimo Moratti.
E, alla lettera, si potrebbe anche dargli ragione: ma lo spirito con cui queste frasi sono state pronunciate non è quello giusto, non lo è mai stato, e dubitiamo lo sarà mai.

E' vero, Calciopoli è un'esperienza che ha coinvolto tutto il calcio: dagli spioni e dai gazzettini che, interpreti del sentimento popolare, si sono sentiti in dovere di orientare l'opinione pubblica, agli spiati, pedinati, intercettati: finiti in un tritacarne e sbattuti in prima pagina, esposti al pubblico ludibrio.
Il tutto con l'intervento risolutore di quella giustizia domestica che ha scelto di interpretare un sentimento collettivo e di mettersi sulla sua lunghezza d’onda. I vertici federali? Il presidente federale non ha avuto problemi a trovare un'altra poltrona, il prode Abete s'è fatto una vacanza in Germania con la Nazionale mentre Guido Rossi faceva il lavoro sporco cartonando uno scudetto, poi è salito sul trono dell'incompetenza; l'unico a rimanerci sotto è stato l'altro vicepresidente, Innocenzo Mazzini; lui aveva creduto a Franco Baldini: "Se ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo farò perché io vivo per fare il ribaltone e buttare tutti di sotto dalla poltrona, io ti salverò, forse"; cos'aveva sbagliato?
Ed anche la giustizia ordinaria ha fatto la sua parte: con il maggiore (poi colonnello, poi capo di Gabinetto del Comune di Napoli, perché mica a tutti Calciopoli ha fatto male, neh) Attilio Auricchio, con i pm capitanati dal dott. Narducci, l'uomo del 'Piaccia o non Piaccia', con il tribunale di Napoli, le sue beghe interne, i suoi veleni.
Ed è stata una pagina bruttissima, più che una pagina una pièce grandguignolesca.
Abbiamo visto sulla scena carriere in frantumi e vite sconvolte.
Ma la parola fine non è ancora stata scritta. Prima che cali il sipario occorrerà attendere che si esauriscano i tre gradi di giudizio della giustizia ordinaria;  e poi c'è l'Europa: eh sì, perché Moggi, dopo aver inutilmente percorso tutto l'iter consentitogli dalla giustizia sportiva fino a Tar e Cassazione, si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che ha già bacchettato più di una volta il nostro sciagurato Paese: 38 condanne su 63 esaminati (e 14.188 presentati).

E così abbiamo visto gli 'assassini' salire sul palco delle autorità, per dirla con un'espressione che Pippo Fava riferiva ad un contesto, ahimè, ben più tragico: anche se le logiche sottese sono le stesse. La decadenza di un mondo inizia quando si uccidono verità, onestà e giustizia. Poi la china diventa ripida e si precipita in un batter d'occhio.
In principio fu il contatto Iuliano-Ronaldo, ovviamente un pretesto; la causa vera era la frustrazione, di chi non vinceva mai a causa di un'inguaribile inferiorità manageriale
La Juve, suo malgrado, aveva finito per pagare dazio nel 2000, con lo scudetto annegato a Perugia; e a gettare un'ombra inquietante su quell'episodio c'è una frase contenuta nella notifica di chiusura indagini di Calciopoli, secondo la quale gli indagati si sarebbero associati "tra loro e con altre persone in corso di identificazione, avendo già nel passato condizionato l’esito di campionati di calcio di serie A, con particolare riguardo a quello del 1999/2000, che fu sostanzialmente condizionato fino alla penultima giornata […] e non riuscendo nell’intento di garantire alla Juventus la vittoria finale, in quanto gli accordi illeciti già stabiliti vennero compromessi dal clamore suscitato provocato dall’arbitraggio apertamente favorevole alla squadra torinese da parte di De Santis".
Chi fischiava, in quel piovoso pomeriggio di maggio, all'orecchio di un Collina al telefono, come ce lo riferisce Moggi? "Collina? Sicuramente parlò al telefono con qualcuno: di chi si trattasse, non lo sapremo mai".
Ma la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso della frustrazione sarebbe stato il 5 maggio 2002, allorché l'Inter a Roma perse lo scudetto per suo esclusivo demerito (leggasi: broccaggine); la Juventus quell'anno, ebbe, come sempre, il merito di crederci fino alla fine.
Da lì il Dossier Ladroni, il pc di Tavaroli in viaggio per Roma, destinazione via In Selci, dove il maggiore Auricchio si dedicava con trasporto ad una meticolosa opera, prendi, taglia, cuci, scarta, nell'ammasso di 170.000 intercettazioni, sfogliando la margherita: interessa, non interessa. Se c'era di mezzo l'Inter, non interessava. Lo imparò a sue spese l'assistente Coppola allorché, desideroso di collaborare, si presentò in caserma e disse che poteva denunciare pressioni ricevute proprio dall’ambiente nerazzurro per aggiustare un referto arbitrale; ma si sentì rispondere che "l'Inter non interessa"; e non ve n'è traccia nel verbale redatto dai carabinieri, nonostante si tratti di una notizia di reato che andava quantomeno riportata e, vivaddio, approfondita. E la cosa non parve interessare nemmeno a Narducci nel corso del dibattimento in aula; era troppo impegnato, anche lui, "a correr dietro ai misfatti di Moggi", scrive la Casoria. 'Quel diavolo d'uomo qualcosa avrà pur combinato', devono essere stati i suoi pensieri
Invece nulla. E si è dovuto rimediare edificando quella sgangherata cupola che sta perdendo un sostegno dietro l'altro, e che ormai si libra nell'aria, appesa ad un palloncino: il gas che sinora lo tiene lassù impedendo al tutti di sfracellarsi al suolo è dato da quella costruzione fantastica delle schede svizzere, intercettabili ma non intercettate; così è straordinariamente più facile appiopparle a chicchessia e far loro dire ciò che fa gioco.

E ad essere presi in giro, ma è in realtà un eufemismo, sono stati la Juve e i suoi tifosi. La Juventus è finita in B, grazie ad un gioco di prestigio, in virtù del quale la somma di sei articoli uno ha prodotto un articolo sei, un obbrobrio.
Non erano certo stati la Juve e i suoi dirigenti a intrattenere rapporti telefonici e de visu con arbitri in attività, a chiedere l'arbitro 'che se sbaglia lui nessuno dice un cazzo' e altre cosucce del genere; nemmeno, per dirla tutta, a telecomandare le bandierine o a organizzare incontri carbonari in ristoranti  nel turno di chiusura.
Agli inquirenti l'Inter non interessa; e nemmeno alla giustizia domestica, se è vero, come è vero, che il procuratore federale Palazzi si è occupato della presenza di illeciti solo quando tutto era già scivolato in prescrizione; eppure quelle telefonate erano ormai da tempo di dominio pubblico.
Certo, prescrizione è improcedibilità, non assoluzione perché i fatti non sussistono: e una lezione su come si comporta chi non ha nulla da nascondere e la sua dignità e onorabilità come bene supremo da difendere l'hanno data all'Inter e a Moratti De Santis, Bertini e Dattilo, tre ex arbitri che hanno ritenuto che non potesse finire così, che qualcuno dovrà dire, o meglio si dovrà sentir dire, che ha sbagliato, che il sistema Moggi non esisteva. Che hanno messo insieme un'accozzaglia di persone senza alcun interesse in comune: avrebbe potuto essere il danaro, peccato che non sia girato un centesimo.



Diciamo che in un Paese appena un po' civile qualcuno si sarebbe già posto il problema di indagare su chi ha indagato; l'avvocato Maurilio Prioreschi, nella sua veemente requisitoria del processo di primo grado, lo ha chiesto a gran voce: "Questo è un imbroglio! Per questo chiedo di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica perché vogliamo sapere se in questo processo c’è un mandante e un killer, o se gli imputati sono stati sfortunati. Noi propendiamo per la prima ipotesi, perché non è possibile che tutte le telefonate sfavorevoli all’accusa, TUTTE, siano state occultate e l’attività di occultamento è continuata per tutta la fase delle indagini preliminari e fino al dibattimento". E nel maggio 2012, Moggi, come De Santis, Bertini e Pairetto, ha presentato alla Procura di Roma un esposto-denuncia contro ignoti in cui chiedono che si indaghi nei confronti di chi indagò nell'inchiesta su Calciopoli, ovverosia l'allora maggiore dei carabinieri Attilio Auricchio e i pm Beatrice e Narducci.  Ma in tutto ciò ricordiamoci che siamo nel Paese che ha partorito, per citarne solo uno (per di più ambientato nello stesso habitat, quello della Procura di Napoli), il caso Tortora.


Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor

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