martedì 31 dicembre 2013

CAPITANI CORAGGIOSI

Capitani coraggiosi.


Un articolo de 'Il Giornale' veicolava ieri l'altro un messaggio, secondo il quale Luciano Moggi sarebbe più un personaggio da 'Capitani coraggiosi'  che da 'Piccolo mondo antico', e penso che il parallelo tra le due definizioni, prese così brutalmente e persino decontestualizzate, sia assolutamente aderente all'universo bianconero.
Non dimenticandoci di Luciano Moggi, sul quale tornerò per chiudere il cerchio, i due grandi capitani coraggiosi di questa Juve sono senza dubbio Andrea Agnelli e Antonio Conte.

Il primo ad arrivare, meglio a tornare (e lo stesso sarà per  Conte) alla Juve è stato Andrea Agnelli: l'avevamo lasciato in campo con Moggi e Giraudo nel 2006, poi l'era di Calciopoli, orchestrata con la connivenza di John Elkann e dei suoi padrini, lo aveva eclissato e allontanato di fatto da quella Ridentus in cui comunque mai avrebbe potuto riconoscersi.
Richiamato su una nave che stava per affondare il giovane capitano coraggioso ha pian piano raddrizzando la barca, riportando al potere quella filosofia del lavoro che tanti frutti aveva dato per tanti: da lì erano nati scudetti e successi assortiti, altro che fantasie farsopolare.
E di coraggio ce n'è voluto, perché non è stato semplice dover confrontarsi da subito con le realtà svelate di Calciopoli, quella Calciopoli che aveva covato per alcuni anni sotto la brace, per poter poi attecchire quasi allo scoperto anche in Torino dopo la morte del padre Umberto: a sei mesi dopo data infatti l'incontro di Marrakech tra John Elkannn e Jean-Claude Blanc; e dalla morte del Dottore in poi Moggi e Giraudo avevano palesemente avvertito come intorno a loro si andasse facendo terra bruciata (la parola fine l'avrebbe scritta proprio Elkann dopo Juve-Palermo quando, dopo un fitto colloquio all'intervallo con il suo mentore Grande Stevens aveva messo la lapide su quella Juve: 'Certe vicende non ci hanno lasciati indifferenti, siamo vicini alla squadra e all'allenatore'); Andrea ha dovuto misurarsi con le aspettative di quanti, ormai pienamente consapevoli di tutto quel marciume, chiedevano che si facesse giustizia, una giustizia peraltro non così facile da ottenere con uno schiocco delle dita visto che i banditi evocati da Giraudo erano in sella più saldi che mai.
E di tanto coraggio ha anche avuto bisogno per ripartire: aveva trovato un ambiente allo sbando. "E' cambiata la prima linea del management - ha dichiarato recentemente lo stesso Andrea al 'Messaggero' - abbiamo ripreso la cultura del lavoro. Quando sono diventato presidente il sabato la sede era chiusa, sprangata per 24 ore. Ora si lavora per sette giorni, e il sabato ci sono 25-30 persone, le riunioni iniziano alle 8 di mattina. Abbiamo riportato il dna Juve, completandolo con l"arrivo di Conte, che è la trasposizione sul campo del mio modo di lavorare in società".

Ecco, sì, Conte, l'altro capitano coraggioso, il capitano già di mille battaglie in bianconero, quello che forse più di tutti si era goduto il 5 maggio 2002 dopo il naufragio nello stagno di Perugia; uno il cui sogno era di allenare la Juve: fosse stato per lui, appena appese le scarpe al chiodo, già nel 2004 avrebbe cominciato il suo noviziato nello staff di Capello o nella Juve 'Primavera', ma non gliene venne data l'opportunità e così aveva dovuto iniziare a Siena come vice di Cagni, poi in prima persona ad Arezzo, Bari, Atalanta e ancora Siena; in realtà, nel 2009, prima della sfortunata avventura a Bergamo, la Juve l'aveva già sfiorata, ma non era quella che conosceva lui e soprattutto lui non era l'allenatore giusto per un club che si faceva dettare il modulo da un giocatore, tra l'altro new  entry con tutto (ben poco poi in realtà...) da dimostrare (Diego nel caso specifico).
Ed era rientrato invece alla grande nella 'casa madre' nel 2011, scelto personalmente da Andrea, per la sua bravura tanto quanto per la sua juventinità. E il cammino vincente della Juve, col martello 'lavoro, lavoro lavoro' è ripreso con un crescendo che il mister salentino non vuole assolutamente si interrompa. Intendiamoci, il capitano coraggioso ha pagato a caro prezzo la sua scelta. Perché mica crederete che se avesse allenato una qualunque altra squadra sarebbe stato usato come spot del calcioscommesse... Nooooo, il nome Juve attira gli sciacalli come nessun altro: una squalifica immeritata che ha ferito Antonio, che non la digerirà mai; ma ha sperimentato anche la vicinanza di Andrea Agnelli, che si è esposto per lui in più occasioni, perché non crede solo nel Conte-allenatore, ma anche e prima di tutto nel Conte-uomo. E il mister paga giorno per giorno la sua appartenenza con l'accanimento sulla sua figura, oltre che sulla Juve: in realtà lo vorrebbero tutti lontano da Torino, il mix Juve-Conte è letale; lui ormai non risponde nemmeno più, va avanti per la sua strada, ben consapevole che per Agnelli vedere una Juve senza Conte è al momento pressoché impossibile.

Andrea e Antonio, due al di fuori delle logiche di quel piccolo (e brutto) mondo antico uscito dalle scorie di Calciopoli;  con Andrea, il presidente-tifoso, ma solo nel periodo che va da due ore prima della partita e le due ore successive, nelle quali non parla con i media; per il resto una figura di risalto internazionale, che lotta per cambiare un piccolo mondo vecchio più che antico, vecchio nel senso deteriore del termine: vecchio perché obbedisce a logiche sorpassate, di scambio di poltrone e non di efficienza. Lo stesso mondo che, dopo un lavorìo corale sotterraneo di sette-otto anni, ha alla fine partorito la Grande Farsa quando finalmente è giunto a perfezione l'incrocio di interessi Milano-Torino-Roma; perché i peccati grossi stavano lì, le grigliate di Moggi erano specchietti per allodole, esercitazioni accademiche che non fruttavano nulla.

Ed anche Moggi è un capitano coraggioso, più navigato degli altri due, uno cui quel mondo in disfacimento ha fatto pagare il conto salatissimo di un banchetto al quale avevano gozzovigliato altri. Uno che in quel mondo si era dovuto muovere a modo suo, perché dietro non aveva mecenati né poteri: doveva, insieme a Giraudo, autofinanziarsi e l'aveva fatto talmente bene da non dover ricorrere ad artifizi vari come legge spalmadebiti, vendita del marchio, plusvalenze fittizie ed altre porcherie simili.

E ancora lotta contro i marosi per ristabilire la verità dei fatti: per se stesso e i suoi compagni di sventura, per la Juve.

Quella Juve che ora è tornata in alto, quella che, curiosamente, a fine 2013, sta di nuovo avanti all'Inter di quei 15 punti che aveva alla fine di quel campionato 2005-2006 mai sotto inchiesta, ma regalato all'Inter da un suo tifoso nominato commissario straordinario.
Quella Juve che ha bisogno di tutti i suoi capitani coraggiosi, per ristabilire l'onore e continuare a costruire un futuro a misura di Juve.


Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor

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