Capitani coraggiosi.
Un articolo de 'Il Giornale' veicolava ieri l'altro un messaggio, secondo il quale Luciano Moggi sarebbe più un personaggio da 'Capitani coraggiosi' che da 'Piccolo mondo antico', e penso che il parallelo tra le due definizioni, prese così brutalmente e persino decontestualizzate, sia assolutamente aderente all'universo bianconero.
Non dimenticandoci di Luciano Moggi, sul quale tornerò per chiudere il
cerchio, i due grandi capitani coraggiosi di questa Juve sono senza dubbio
Andrea Agnelli e Antonio Conte.
Il primo ad arrivare, meglio a tornare (e lo stesso sarà per Conte) alla
Juve è stato Andrea Agnelli: l'avevamo lasciato in campo con Moggi e Giraudo nel
2006, poi l'era di Calciopoli, orchestrata con la connivenza di John Elkann e
dei suoi padrini, lo aveva eclissato e allontanato di fatto da quella Ridentus
in cui comunque mai avrebbe potuto riconoscersi.
Richiamato su una nave che stava per affondare il giovane capitano
coraggioso ha pian piano raddrizzando la barca, riportando al potere quella
filosofia del lavoro che tanti frutti aveva dato per tanti: da lì erano nati
scudetti e successi assortiti, altro che fantasie farsopolare.
E di coraggio ce n'è voluto, perché non è stato semplice dover confrontarsi
da subito con le realtà svelate di Calciopoli, quella Calciopoli che aveva
covato per alcuni anni sotto la brace, per poter poi attecchire quasi allo
scoperto anche in Torino dopo la morte del padre Umberto: a sei mesi dopo data
infatti l'incontro di Marrakech tra John Elkannn e Jean-Claude Blanc; e dalla
morte del Dottore in poi Moggi e Giraudo avevano palesemente avvertito come
intorno a loro si andasse facendo terra bruciata (la parola fine l'avrebbe
scritta proprio Elkann dopo Juve-Palermo quando, dopo un fitto colloquio
all'intervallo con il suo mentore Grande Stevens aveva messo la lapide su quella
Juve: 'Certe vicende non ci hanno lasciati indifferenti, siamo vicini alla
squadra e all'allenatore'); Andrea ha dovuto misurarsi con le aspettative
di quanti, ormai pienamente consapevoli di tutto quel marciume, chiedevano che
si facesse giustizia, una giustizia peraltro non così facile da ottenere con uno
schiocco delle dita visto che i banditi evocati da Giraudo erano in sella più
saldi che mai.
E di tanto coraggio ha anche avuto bisogno per ripartire: aveva trovato un
ambiente allo sbando. "E' cambiata la prima linea del management - ha
dichiarato recentemente lo stesso Andrea al 'Messaggero' - abbiamo ripreso
la cultura del lavoro. Quando sono diventato presidente il sabato la sede era
chiusa, sprangata per 24 ore. Ora si lavora per sette giorni, e il sabato ci
sono 25-30 persone, le riunioni iniziano alle 8 di mattina. Abbiamo riportato il
dna Juve, completandolo con l"arrivo di Conte, che è la trasposizione sul campo
del mio modo di lavorare in società".
Ecco, sì, Conte, l'altro capitano coraggioso, il capitano già di mille
battaglie in bianconero, quello che forse più di tutti si era goduto il 5 maggio
2002 dopo il naufragio nello stagno di Perugia; uno il cui sogno era di allenare
la Juve: fosse stato per lui, appena appese le scarpe al chiodo, già nel 2004
avrebbe cominciato il suo noviziato nello staff di Capello o nella Juve
'Primavera', ma non gliene venne data l'opportunità e così aveva dovuto iniziare
a Siena come vice di Cagni, poi in prima persona ad Arezzo, Bari, Atalanta e
ancora Siena; in realtà, nel 2009, prima della sfortunata avventura a Bergamo,
la Juve l'aveva già sfiorata, ma non era quella che conosceva lui e soprattutto
lui non era l'allenatore giusto per un club che si faceva dettare il modulo da
un giocatore, tra l'altro new entry con tutto (ben poco poi in realtà...) da
dimostrare (Diego nel caso specifico).
Ed era rientrato invece alla grande nella 'casa madre' nel 2011, scelto
personalmente da Andrea, per la sua bravura tanto quanto per la sua juventinità.
E il cammino vincente della Juve, col martello 'lavoro, lavoro lavoro' è ripreso
con un crescendo che il mister salentino non vuole assolutamente si interrompa.
Intendiamoci, il capitano coraggioso ha pagato a caro prezzo la sua scelta.
Perché mica crederete che se avesse allenato una qualunque altra squadra sarebbe
stato usato come spot del calcioscommesse... Nooooo, il nome Juve attira gli
sciacalli come nessun altro: una squalifica immeritata che ha ferito Antonio,
che non la digerirà mai; ma ha sperimentato anche la vicinanza di Andrea
Agnelli, che si è esposto per lui in più occasioni, perché non crede solo nel
Conte-allenatore, ma anche e prima di tutto nel Conte-uomo. E il mister paga
giorno per giorno la sua appartenenza con l'accanimento sulla sua figura,
oltre che sulla Juve: in realtà lo vorrebbero tutti lontano da Torino, il mix
Juve-Conte è letale; lui ormai non risponde nemmeno più, va avanti per la sua
strada, ben consapevole che per Agnelli vedere una Juve senza Conte è al momento
pressoché impossibile.
Andrea e Antonio, due al di fuori delle logiche di quel piccolo (e brutto)
mondo antico uscito dalle scorie di Calciopoli; con Andrea, il
presidente-tifoso, ma solo nel periodo che va da due ore prima della partita e
le due ore successive, nelle quali non parla con i media; per il resto una
figura di risalto internazionale, che lotta per cambiare un piccolo mondo
vecchio più che antico, vecchio nel senso deteriore del termine: vecchio perché
obbedisce a logiche sorpassate, di scambio di poltrone e non di efficienza. Lo
stesso mondo che, dopo un lavorìo corale sotterraneo di sette-otto anni, ha alla
fine partorito la Grande Farsa quando finalmente è giunto a
perfezione l'incrocio di interessi Milano-Torino-Roma; perché i peccati grossi
stavano lì, le grigliate di Moggi erano specchietti per allodole, esercitazioni
accademiche che non fruttavano nulla.
Ed anche Moggi è un capitano coraggioso, più navigato degli altri due, uno
cui quel mondo in disfacimento ha fatto pagare il conto salatissimo di un
banchetto al quale avevano gozzovigliato altri. Uno che in quel mondo si era
dovuto muovere a modo suo, perché dietro non aveva mecenati né poteri: doveva,
insieme a Giraudo, autofinanziarsi e l'aveva fatto talmente bene da non dover
ricorrere ad artifizi vari come legge spalmadebiti, vendita del marchio,
plusvalenze fittizie ed altre porcherie simili.
E ancora lotta contro i marosi per ristabilire la verità dei fatti: per se
stesso e i suoi compagni di sventura, per la Juve.
Quella Juve che ora è tornata in alto, quella che, curiosamente, a fine
2013, sta di nuovo avanti all'Inter di quei 15 punti che aveva alla fine di quel
campionato 2005-2006 mai sotto inchiesta, ma regalato all'Inter da un suo tifoso
nominato commissario straordinario.
Quella Juve che ha bisogno di tutti i suoi capitani coraggiosi, per
ristabilire l'onore e continuare a costruire un futuro a misura di
Juve.
Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
Twitter: @JuveGrandeAmor
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