Complotto!
"E’ inutile girarci troppo attorno, dopo due campionati già vinti dalla
Juve, c’è un’altra Italia del tifo che spera di contrastare il dominio
bianconero. E, in una legittima aspirazione pallonara, ne ha pieno
diritto".
Parole e musica di Paolo De Paola. Parole che fanno rabbrividire e musica
stonata.
Parole che fanno rabbrividire perché riportano alla mente dei bianconeri
quel 2006, con una Juve reduce dai due scudetti consecutivi dell'era Capello, e
non c'erano dubbi che avrebbe potuto tranquillamente tentare il tris l'anno
successivo.
Ma c'era un'Italia del tifo che sperava di contrastare il dominio
bianconero: solo che sul campo, ALLORA sicuramente, ora con buone probabilità,
la Juventus era la più forte.
E dunque bisogna attaccarsi ad altro: torniamo al 2006. Di fronte ai
bianconeri c'erano le milanesi: entrambe sapevano che la forza della Juve non
stava, soprattutto non stava più, nella proprietà. Lì c'erano invece Moratti
(con la preziosissima alleanza Telecom) e Berlusconi (con le sue
televisioni).
L'unica ricchezza che rimaneva a Torino era il management che, nonostante
avvertisse sempre più intorno a sé terra bruciata, non si era fatto tentare
dalle sirene meneghine. Era quello il bersaglio grosso cui puntare e le due
milanesi non potevano farsi sfuggire l'occasione: in fondo le romane erano già
passate all'incasso, la Lazio incamerando lo scudetto quasi-bianconero cui
Collina aveva messo una pietra al collo facendolo affogare nella piscina di
Perugia, la Roma avvalendosi l'anno successivo del cambiamento in corsa della
regola degli extracomunitari: e a beneficio degli sguaiati quanto smemorati
tifosi giallorossi si precisa che dette regole furono cambiate nella prima
settimana di maggio, quella precedente lo scontro diretto, in cui la Roma potè
usufruire di Nakata (che si sarebbe rivelato decisivo) e di Assunçao.
E fu Calciopoli.
L'Inter di Moratti ne uscì con uno scudetto di merda e cartone in bacheca e
su un trampolino di lancio per altri quattro titoli e il triplete; il Milan di
Galliani (e Berlusconi), nonostante il rapporto diretto tra l'ad rossonero e
Meani alla testa del gruppo degli sbandieratori del weekend, ne uscì solo con
qualche irrilevante graffio superficiale: il piagnone Moratti, preda della sua
infinita frustrazione da sconfitta che altro non era se non un chiaro segnale
della sua incapacità gestionale, si rivelava l'ariete perfetto per sfondare il
muro della cittadella bianconera, peraltro inquinata da intrighi di palazzo,
certo non ignoti in area milanese; il tutto tra la security Telecom
Pirelli nerazzurra che lavorava sottotraccia e il battage delle reti Mediaset,
di cui il solo Auricchio ignorava l'appartenenza.
Pagò, in pratica, solo la Juve: e pagò salato, con due scudetti. E scontò
il sentimento popolare di un'Italia del tifo che sperava di contrastare il
dominio bianconero. E che, in una legittima aspirazione pallonara, ne avesse
pieno diritto, fu proprio un giornale a decretarlo: quel roseo gazzettino che
sin dal 2003 aveva Galdi tra gli aiutanti più preziosi di Auricchio si assunse
l'impegnativo compito di orientare l'opinione pubblica. Il tutto venne poi
certificato nel corso dei processi sportivi dove i giudici, sentita la 'gente'
orientata, cercarono di interpretarne un sentimento collettivo: "Abbiamo
ascoltato la gente comune e provato a metterci sulla lunghezza d’onda”, son
parole di Mario Serio, membro della Corte Federale.
Adesso sulla breccia non c'è la rosea, impegnata a togliere gli scheletri
dall'armadio per inscatolarli e spedirli a Crescenzago, ma il Corriere dello
Sport; al suo fianco non c'è Mediaset, ma le faziose emittenti romane che sono
portatrici poco sane del messaggio che una 'Roma che ha inanellato dieci
vittorie consecutive ha cominciato a dare fastidio e che c'è forte il retaggio
di quando i sospetti divennero, con Calciopoli, fatti concreti': questa la
traduzione, da parte di Sky, dei deliri in salsa giallorossa.
E quindi gli ultimi tre pareggi vengono visti come frutto di un complotto,
con rigori negati a Torino sponda granata, contro il Sassuolo e a Bergamo,
tacendo che in tutti in questi tre casi i rigori erano tutt'altro che solari,
fingendo di dimenticare come peraltro il rigore fischiato su Gervinho contro
l'Inter fosse fuori area e che il rigore concesso contro il Napoli per fallo di
Cannavaro (anche espulso) su Borriello fosse stato preceduto dal fallo
dell'attaccante. Memoria a intermittenza.
Niente da fare: è complotto, bisogna caricare l'ambiente come se, vista
l'attuale situazione, negli stadi e attorno, ce ne fosse bisogno; e si è visto a
Bergamo. Ma il peccato capitale, per tutti, è stato il merda dei bambini dello
Juventus Stadium. Così va il mondo. O meglio l'Italia.
E la canea è continuata con la caccia alle streghe: oltre che orientare
pare che ormai mission dei giornalisti sia anche quella di fomentare; quasi che,
ripeto, ce ne fosse bisogno.
Perché anche 'Il Tempo', altro quotidiano romano, in tempi di magra per i
giornali e per il Paese, non ha voluto farsi scappare l'occasione: e allora ha
cavalcato l'occasione fornita dalla maldestra decisione del Giudice Sportivo
(che lo stesso presidente del Coni Giovanni Malagò, romano di fede romanista, ha
avuto l'onestà di pubblicamente censurare), per scrivere: "Sfruttamento
minorile. Dopo i cori razzisti il giudice multa la società anche per i bimbi
maleducati. Un’iniziativa strumentale per giocare prima e riempire la curva
squalificata". Roba da querela. Di cui non si è pentito perché oggi ha ribadito la tesi che quelle curve dovessero restare vuote: tesi di per sé inaccettabile data la valenza dell'iniziativa, ma la cosa grave è che non ci si sia resi conto di quanto sia delirante e oltraggioso buttarla sullo 'sfruttamento minorile', fenomeno ahimè estremamente drammatico, ma assolutamente fuori contesto e che va semmai in direzione opposta.
Ma, per tornare ai torti arbitrali, riprendiamo il Corriere dello Sport che,
dopo aver sparato in prima pagina "Processo agli arbitri. Errori a ripetizione e
troppe anomalie", ospita nientepopodimeno che un articolo di Luigi Ferrajolo, il
presidente dell'Ussi, mica uno qualunque, ma anche romanista di lungo corso
(quello che a marzo 2011 a Radio Radio: "I tifosi della Juve che fanno i
cori a favore di Moggi sono quelli che lo rivorrebbero perché al tempo si
vinceva... anche rubando le partite ma comunque si vinceva"). Prima si
sofferma sulla diversità di trattamento tra Conte e Rudi Garcia: "E' normale
che un tecnico educato, civile, garbato, mai esagitato, come Rudi Garcia sia
stato espulso già due volte in appena quattordici gare? Se facesse il diavolo a
quattro in panchina, magari come Antonio Conte, potrebbe anche passare; invece
il francese, mai espulso prima dl venire in Italia, risulta un indemoniato solo
ai nostri eccellentissimi arbitri"; dimentica un particolare: Conte è stato
espulso due volte e puntualmente sono arrivate le squalifiche; il nuovo vate
giallorosso è stato espulso (per modo di dire, perché lui, che sa di vivere nel
XXI, secolo è armato di walkie talkie) due volte, ha collezionato solo
altrettante ammonizioni con diffida e rischia seriamente di attaccare il record
di Mazzarri, con innumerevoli espulsioni e altrettanto innumerevoli ammonizioni
con diffida, ma sempre in sella. Poi ha concluso con un accorato appello:
"Noi abbiamo grande fiducia in Abete, presidente non sempre energico, ma persona
leale e onesta. Può essere lui íl garante non solo della Roma, ma di tutte le
squadre. Il garante di una trasparenza e di una pulizia di cui abbiamo un gran
bisogno. In un Paese divorato dalla corruzione e dai disonesti, sarebbe bello se
almeno dal calcio partisse un messaggio forte, chiaro, incoraggiante. Chiediamo
solo un campionato normale, pulito. Tutto qui".
Che serva un'altra Calciopoli? Perché "c’è un’altra Italia del tifo che
spera di contrastare il dominio bianconero. E, in una legittima aspirazione
pallonara, ne ha pieno diritto". E se lo dice Paolo De Paola...
Naturalmente da qualche settimana, da quando la Juventus, data per morta,
sazia, dilaniata da lotte intestine, con allenatore e campioni in fuga, ha
ripreso la sua marcia implacabile, rimediando agli errori (che nel caso della
Juve si chiamano episodi) arbitrali (come il fallo di mano di Ceccherini a
Livorno) con le sue forze, esempi di mala stampa di questo genere si susseguono:
ogni pretesto è buono.
E' un filone che seguiremo. Perché non possiamo abbassare la guardia.
Una delle debolezze di quella Juve imbattibile che fu, la Juve della
Triade, fu proprio l'essere rimasta bersaglio dei media: sottovalutazione o
debolezza intrinseca? Forse inizialmente fu sottovalutazione, consapevolezza
della propria superiorità al di là del vento contrario. Poi i segnali, dopo la
morte dell'Avvocato e del Dottore, divennero talmente inequivocabili che Moggi,
per dire, cercò di compensare il peso delle reti Mediaset con il processo di
Biscardi: ma era come andare con una fionda contro il cannone. D'altronde il
giornale di famiglia non era per niente d'aiuto e l'intercettazione
Moggi-Tosatti del 21 aprile 2005 è esemplare in proposito: "Qui non
conta nessuno, morti l'Avvocato e il Dottore è terra bruciata, io mi sto quasi
arrendendo, mi son rotto i coglioni, mi assumo responsabilità che non sono
mie". Responsabilità che avrebbe pagato a carissimo prezzo.
Con un'imprecisione: qualcuno che contava c'era, ma lavorava sotto traccia,
lasciando che il giornale di famiglia facesse pure il lavoro sporco; infatti
circa quattro mesi prima John Elkann aveva incontrato a Marrakech Jean-Claude
Blanc: "Era il 31 dicembre del 2004, ho incontrato John Elkann a Marrakech.
Abbiamo parlato di sport e dei valori sportivi e tre mesi più tardi al Cafè de
Flore di Parigi mi ha chiesto di far parte della Juventus. Come dire no? Elkann
ha scelto me per creare una rottura con il passato".
Quanto a rompere hanno rotto, eccome!
Ma non deve accadere mai più.
Antenne dritte.
Fino alla fine.
Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
Twitter: @JuveGrandeAmor
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