Il senso del ridicolo
Parliamo di discriminazione, suvvia.
Ma, una volta tanto, mettendo nel centro del mirino non il mondo ultras,
con i suoi eccessi e anche i suoi orrori, bensì chi non ha saputo gestire la
situazione. Ma del resto si tratta di 'incompetenti' confessi, che ci vogliamo
aspettare?!
La vicenda della chiusura e successiva riapertura in pompa magna delle
curve di Milano e Roma, per i modi in cui è avvenuta e per il battage mediatico
che l'ha circondata, è emblematica, a dire lo schifo di un mondo di banditi che
fa quello che gli pare: ha iniziato nel 2006, con la panzana della giustizia
domestica del circolo della caccia, e non ha la minima intenzione di
smetterla.
E si adonta pure se qualcuno, come Conte, gliele canta dure in faccia. E
l'intero sistema, più che altro un teatrino mosso da esperti burattinai (e c'è
ancora qualcuno che osa definire 'burattinaio' Luciano Moggi!), sembra stimolato
a fare ancora peggio. Alla luce del sole, senza la minima prudenza né ritegno o
dignità.
La norma era stata partorita dalla Figc sotto il solleone: aveva più di un
bug, ma nessuno se n'era curato più di tanto: in ogni caso valeva sempre la mala
pratica che la Figc, dall'alto della sua incompetenza, fa le regole, e qualcun
altro poi le interpreta: il senso dipende. Dipende da chi viene colpito.
Il primo a cadere sotto i colpi della discriminazione territoriale era
stato il Milan, già, quel Milan che si era fatto da tempo paladino delle vittime
dei cori razzisti, consapevole che avrebbe potuto trarne giovamento grazie alla
presenza in squadra di quel Balotelli che si attirava le ire del pubblico, in
realtà non per il colore della sua pelle ma per i suoi atteggiamenti provocatori
e insolenti.
Era esplosa la furia di Galliani e la Figc aveva partorito in fretta e
furia la sospensione condizionale. Milano per il momento era salva.
Aveva poi pagato, come di default, la Juve: intendiamoci, la frittata
l'avevano fatta i suoi ultras facendosi beccare due volte con le mani nella
marmellata, complice anche l'arrivo, allo Juventus Stadium, proprio dei tifosi
napoletani, che si erano fatti puntualmente apprezzare per violenze e
devastazioni, e naturalmente se ne erano andati con tre pere in tasca, ma anche
tronfi e soddisfatti per aver lasciato dietro di sé macerie e feriti; tanto a
loro non sarebbe successo niente, come sempre.
La Juventus, come è nel suo Dna, aveva cercato di trarre il meglio da una
situazione di per sé molto negativa: la cosa più spiacevole era stata il
fatto che ci avevano comunque rimesso tanti abbonati che invece avevano saputo
mantenere il loro autocontrollo, tifando in maniera colorita e iperbolica sì, ma
senza esorbitare dai confini di regole magari anche discutibilissime.
E mal gliene era pure incolto. Perché per i bianconeri valgono
evidentemente regole speciali, quelle dell'accanimento: e i 'giovanissimi'
supporters bianconeri cui la Juve aveva regalato una giornata di lavoro
formativo e poi di svago allo stadio si erano comportati come i tifosi di tutta
Italia, forse non un modello di bon ton, esuberanti e financo esagerati, urlando
l'ormai celeberrimo 'ooooh merda' ai rinvii del portiere avversario. Vergogna!
Multa, e reprimenda. Per non dire dei media che hanno vomitato di tutto.
Passando attraverso la vergogna di Bologna, assolutamente ignorata dal
Giudice sportivo, perché evidentemente incitare la folla a bruciare i tifosi
bianconeri e assaltare il pullman della squadra sono cose buone e giuste
perché manifestamente gradite ai nuovi signori del vapore, la Juve aveva pagato
l'ulteriore balzello di 5.000 euro per i nuovi ooohhh merda dei suoi tifosi,
grandi e piccoli uniti in un solo coro.
E si è arrivati alla vigilia del derby di Milano con la sorpresa che,
essendo stata violata anche la condizionale, la curva rossonera, in buona
compagnia peraltro di quella giallorossa, cadeva sotto squalifica. Apriti cielo!
Si ricorra! Detto e fatto. Arrampicandosi sui vetri, in fondo una scusa la si
trova sempre, ecco arrivare la sospensione della squalifica per la necessità di
approfondimenti. Forse qualcuno non aveva sentito bene e le curve avevano
intonato canti natalizi. Che equivoco!
In realtà a Milano aveva pesato anche la minacciosa preoccupazione,
adombrata dall'ex prefetto Serra, di possibili disordini, con vittime innocenti,
in prossimità dello stadio. Ovverosia alle curve era stata lasciata in mano
l'arma dell'intimidazione civile, che peraltro gli ultras erano ben consci di
poter utilizzare, visto che da anni spadroneggiano negli stadi, e dintorni, con
violenze di ogni genere (fu a Milano che nel 2001 venne addirittura lanciato un
motorino dagli spalti): e la Corte di Giustizia Federale aveva tolto le castagne
dal fuoco a tutti, con le sua sospensive.
Certo, al di là della giustizia domestica, esce netto il ritratto di un
povero Paese impaurito, in una grande città come Milano, davanti all'eventualità
di dover tenere a bada le orde (perché a questo punto tali sono) di teppisti che
pretendevano di imporre la loro volontà in presenza di decisioni prese dagli
organi preposti (competenti non si può dire...). Si è cavillato assai
addirittura su tutto, su diritti e pseudodiritti. La realtà era l'impotenza ad
opporsi; un'impotenza non solo sul piano pratico, ma di intenti, visto che da
anni, in presenza di violenze perpetrate, si spara nel mucchio senza mai punire,
ma severamente, non con il buffetto di un Daspo, i responsabili. Poi ci si
sveglia quando le italiche bande vanno all'estero, fanno muro contro muro con le
forze dell'ordine e si ritrovano in galera.
Ora l'ultima, ridicolissima, puntata: derby meneghino, una delle più
squallide puntate della saga peraltro, i tifosi della multietnica Inter (in
campo, nessun italiano su 14 scesi in campo) hanno bersagliato con cori razzisti
i giocatori di colore rossoneri (da Balotelli a Zapata a De Jong a Muntari). Si
temeva la squalifica, ma stavolta Tosel ha fatto come Ponzio Pilato: saranno
stati cori razzisti o nenie natalizie? Sussurri o grida? Se la veda Palazzi a
fissare la scala di decibel.
Su una cosa però Tosel non ha avuto dubbi: i buu razzisti, udibilissimi,
che a Bergamo hanno salutato Pogba e Asamoah, erano nenie natalizie; in
alternativa bisogna pensare che gli ispettori federali fossero completamente
sordi.
Come si vede siamo di fronte ad un calcio che non sa darsi regole, con i
relativi parametri. O forse non vuole darsele; perché poi occorrerebbe farle
rispettare, per tutti; senza cedere a ricatti; senza riguardi per gli amici degli amici e i compagni di merende. Cadrebbe il giochetto dell'interpretazione,
dell'elasticità ad magliam. E comunque, quando prova a darsele, cambiarle in
corsa è un lampo: è un film già visto, quello cui abbiamo assistito nel 2001,
col cambiamento in corsa delle regole sugli extracomunitari. La Juve ci rimise
uno scudetto. Ma il calcio italiano ci sta rimettendo molto di più: la
dignità.
Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)
Twitter: @JuveGrandeAmor
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