Moggi non disse bugie!
"Quello che emerge dal processo di Napoli e che emergerà ancora, le
telefonate del tuo ex presidente che riguardano le griglie e la richiesta a un
arbitro di vincere la partita di Coppa Italia con il Cagliari, e l'arbitro era
Bertini. Ci sono le telefonate intercettate sue, le telefonate di Moratti e la
telefonata di imbarazzo di Bertini, i pedinamenti e le intercettazioni illegali,
anche i passaporti falsi e quindi sta zitto Zanetti, è meglio per te ed è meglio
per l'Inter".
Queste le affermazioni pronunciate da Luciano Moggi a 'Notti magiche' e che
hanno indotto Gianfelice Facchetti a trascinare in tribunale l'ex dg bianconero
con una querela per diffamazione aggravata e il pm Elio Ramondini a rinviarlo a
giudizio formulando un capo di imputazione in cui si afferma che si sarebbe
fatto "falsamente intendere che lo stesso Giacinto Facchetti avesse commesso
quei reati quali quelli da lui (Moggi, ndr) commessi".
Vediamo un po' i fatti.
Partiamo dal presupposto che la pseudoprova regina era inizialmente la
grigliata tra Moggi e Bergamo, una mera esercitazione accademica in cui Luciano
si limitava a confrontare con Bergamo le sue ipotesi di griglia, simili a quelle
che si divertivano a fare i giornalisti, visto che si trattava di un gioco a
incastro, con tutti i vincoli di prammatica, preclusioni in testa: era un
semplice confronto (lecito perché parlare con i designatori era lecito, anzi
consigliato agli stessi) senza che si chiedesse alcunché.
Vediamo cosa fa in proposito Giacinto Facchetti, il 25 novembre 2004,
all'epoca presidente dell'Inter, quando
chiama Gennaro Mazzei, designatore degli assistenti, telefonata seguita, il
giorno successivo, da quella a Paolo Bergamo.
Nella prima, oltre a conoscere gli assistenti designati per Inter-Juventus
il giorno prima di Moggi (lapidato per aver saputo alle 11,56 i nomi di
assistenti abbinati alle ore 11,15), intercede perché in pratica si bypassi (si
fosse trattato di Moggi già vedo i caratteri cubitali 'Sorteggio truccato') il
sorteggio forzando il sistema delle preclusioni e Mazzei promette di parlarne a
Bergamo (che va a incontrare), il quale il giorno successivo ne parla proprio
con Facchetti: è la famosa
telefonata del 'Metti... Collina'. Ora che 'Collina' sia stato pronunciato
da Bergamo (che sostiene di non essere stato lui, e dovrebbe saperlo) o da
Facchetti è assolutamente ininfluente, visto che sappiamo dal giorno precedente
che a volere il numero uno degli arbitri è il dirigente nerazzurro, che ha
parlato con Mazzei che a sua volta ha parlato con Bergamo.
Forse è qualcosa più di una griglia. E allora perché l'Inter ha in bacheca
uno scudetto di merda e
cartone e non è, con i suoi dirigenti, sotto processo a Napoli (perché su
questo Gianfelice ha ragione, è proprio così)?
Eppure, anche se ciò non è mai stato sparato in prima pagina, la telefonata
tra Facchetti e Mazzei è una delle prime che la squadra di Auricchio ascolta,
ben due mesi e mezzo prima di quella tra Moggi e Bergamo; però la ritiene
"investigativamente non utile". Perché l'Inter non interessa, a quell'Auricchio
che, come afferma proprio Moggi, cominciò le indagini dalla coda, decidendo a
priori che l'Inter non interessava (e lo dichiarò candidamente all'assistente
Coppola presentatosi a testimoniare di raccomandazioni pro-nerazzurri): forse
perché il pc di Tavaroli ricevuto come gentile cadeau a metà giugno 2005 non lo
portava in quella direzione.
E qui la storia delle intercettazioni si lega con quella dei pedinamenti e
delle intercettazioni illegali, quella di cui ha parlato Tavaroli, colui che era
"Un tizio si offrì di farlo" come ebbe a dire Massimo Moratti a Sabelli Fioretti
prima e a Beccantini poi.
Qualcosa di assodato, per cui l'Inter è stata trascinata in
tribunale.
La faccenda di Bertini è ancora più eclatante: la racconta la telefonata
di Bergamo a Facchetti, dove il presidente nerazzurro chiede esplicitamente
di preparare Bertini perché l'Inter possa vincere; lo score è 4-4-4 e si deve
muovere la casella delle vittorie; ragionamento che Facchetti ripeterà a Bertini
andandolo a trovare nello spogliatoio prima di Cagliari-Inter, come lo
sconcertato e imbarazzatissimo arbitro dirà al designatore a
fine gara.
Non oso immaginare cosa sarebbe successo se ciò l'avesse fatto Moggi,
davvero non oso.
Per ultima la faccenda di Oriali, all'epoca direttore sportivo dell'Inter,
con la falsificazione del passaporto e della patente di Recoba, fatto che risale
temporalmente al 2001, conclusosi con un buffetto dalla giustizia domestica e
con un patteggiamento per sei mesi di reclusione il 25 maggio 2006 davanti al
tribunale di Udine.
Questi i fatti, e questo stesso ciò che Moggi evocò in quella
trasmissione.
A prescindere dal fatto che erano fatti da sanzionare non tanto in
tribunale (intelligence illegale a parte) ma sul piano sportivo, come sarebbe
avvenuto se Palazzi non avesse atteso lo spirare della prescrizione per stilare
il suo documento dove gli illeciti erano messi nero su bianco e chiamati col
loro nome, non c'era niente di falso.
Anche se per troppo risulta ancora troppo scomodo ammetterlo.
Ma la verità non si può cancellare.
Anche se nel paese della bugia la verità è una malattia.
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