venerdì 24 gennaio 2014

UN THOHIR DI CARTONE


Un Thohir di cartone



Forse aveva ragione Andrea Agnelli quando aveva ribattezzato Jakartone la capitale dell'Indonesia.
Perché questo Erick Thohir ci sembra proprio di cartone, come lo scudetto 2006.
Un personaggio quantomeno strano, piombato dal nulla (o forse no?) a rilevare una società marcia dalle fondamenta: e non sto parlando solo di soldi.
Anche e soprattutto di etica.
Perché stiamo parlando di un club, proprio quello che ha gli armadi pieni di scheletri (plusvalenze fittizie, vendita del marchio, passaportopoli)  e che accetta di appuntarsi sul petto e di menar vanto di un titolo non vinto, mai in discussione, ma regalatogli da un ex componente del suo CdA. Poi, quando i suoi illeciti, prima mascherati grazie ad inquirenti che hanno mancato al loro dovere di indagare a 360° (e diversi imputati, come Moggi, De Santis, Pairetto, Bertini hanno depositato oltre un anno fa alla Procura di Roma un esposto-denuncia in cui chiedono che si indaghi su chi ha indagato) e insabbiati mediaticamente dai media (capeggiati da chi dall'inizio si era posto come mission quella di orientare l'opinione pubblica), vengono fatti oggetto, sia pur tardivamente (ma, si sa, la giustizia domestica è incompetente), di una relazione del procuratore federale, si guardano bene dal rinunciare alla prescrizione tanto attesa e di far chiarezza. Già, perché chiarezza avrebbe significato, come minimo, serie B.
Una bella lezione l'hanno data a siffatti individui diversi imputati del processo di Napoli che, certi della propria innocenza e decisi a difendere con ogni mezzo la propria onorabilità, vi hanno rinunciato.
Ma queste caratteristiche non fanno parte delle qualità degli adepti della setta Onesti&Prescritti.
E però intanto lo sprofondo rosso di bilancio si faceva sempre più abissale e il Giovin Signore, succeduto agli amichetti torinesi, stava dando prova di qualità manageriali e di quell'amore per la Juve nel quale era stato cresciuto dal padre e dalla Triade.
Le fortune sportive interiste, una volta esauritesi le distorsioni farsopolare, andavano, per converso, non declinando ma precipitando: e le poche risorse venivano investite alla vecchia maniera, quella che aveva portato a Milano fenomeni come Gresko e Vampeta.
Ed ecco il messia, venuto da lontano, a colmare i buchi; ma, nonostante gli sforzi di attribuirgli una fervente passione per la maglia nerazzurra, è stato subito ben chiaro che il nuovo mecenate era essenzialmente un controllore dei conti, per evitare che l'Inter potesse cadere sotto la mannaia del Fair Play Finanziario.
Ma nello stesso tempo un utile strumento da utilizzare come voce fuori campo. Di quale pasta sia fatta la governance interista è noto da tempo. Alla 'tiro il sasso e nascondo il braccio'.
E  così ecco l'affare Vucinic-Guarin. Mirko richiesto dall'Inter... Eh già, Mazzarri è davvero un po' nella cacca... Già fuori dall'Europa quest'anno, è ormai a 23 punti dalla vetta (e a 19 del terzo posto), fuori dalla Coppa Italia, con una squadra senza gioco, dove gli acquisti estivi Belfodil, Taider e lo spensierato Icardi hanno rivelato tutta la loro inconsistenza. Chiede chiarezza e un attaccante. Si punta dritti sul montenegrino che, non sentendosi più titolarissimo e poco incline per temperamento a lottare con le unghie e coi denti per ri-strappare il posto alle due punte titolari, preferisce migrare dove le sue indiscutibili doti tecniche potrebbero aver facilmente ragione di una concorrenza meno agguerrita.
Il problema però c'è: in cassa, a Milano, non c'è un euro. Dal Djakartone era arrivato l'input: vendere per comprare. Elementare, Erick. Ma nessuno vuole quei gioielli di cartone e allora non resta che scambiare i giocatori come le figurine. La Juve sceglie Guarin, non perché abbia urgenza di coprire quel ruolo, ma semplicemente perché è il più idoneo, per doti tecniche e duttilità, a potersi inserire nella rosa di Conte. Previe martellate, of course.
Sembra andar tutto liscio, lasciando perdere, per carità, la location della trattativa  (ah Beppe, ma Moggi non ti ha insegnato niente?!), si va a pranzo, paga Marotta perché non c'è tempo per stare a lavare i piatti, c'è un affare da concludere. Che però non si conclude, l'Inter vuole strappare almeno un milioncino di conguaglio, si dice. In realtà il principio di traccheggiamento deriva dal fermento in atto tra i tifosi della PazzaInter, dai Vip agli ultràs, che non vogliono che Guarin vada alla Juve (e allora chissà perché Vucinic dovrebbe andare all'Inter, e abbia già affrontato in tutta fretta anche le visite mediche).
Thohir non ne sa nulla e da Djakartone manda un SMS di cartone ad Andrea Agnelli, con l'Ok all'affare. Ma a Milano si va per le lunghe e Marotta e i suoi partono per Roma dove la Juve è impegnata in Coppa Italia. In questo mentre Moratti, convinto dai tifosi e soprattutto dalle minacce di lanci di seggiolini, che potrebbero travestirsi da motorini, telefona allarmato a Djakartone e blocca tutto.
Sul sito compaiono due comunicati, alle 18.12 quello del club, che annuncia lo stop, e un'ora e mezzo dopo quello del Djakartone, se ne assume la paternità.
Fine della storia. Forse. Perché l'Inter avrebbe ancora l'ardire di volere Vucinic in prestito con 'promessa' di riscatto, tenendosi nel contempo anche Guarin.
Ma a Torino non ci stanno e, mentre i media spacciano antricipazioni di un possibile incontro pacificatore tra i due presidenti (a fine settimana il Djakartone sarà a Milano), irrompe sulla scena Marotta che in una conferenza stampa dai toni particolarmente decisi, stigmatizza il comportamento della delegazione di mercato nerazzurra, mettendo in luce la mancanza di correttezza e di serietà che ha contraddistinto la vicenda, con danni per tutti, inclusi i due giocatori (che avevano già raggiunto, in tutto questo bailamme, l'accordo con i loro nuovi, anzi no, club): roba mai vista in trent'anni di calciomercato (aspetto questo sottolineato anche da molti altri personaggi del mondo del calcio).
Ebben ci credereste? Ignorando gli scheletri nell'armadio il Djakartone (o chi per esso) si inalbera e sul sito difende quella che lui (o chi per lui, perché queste sue parole puzzano sempre più di morattismo) definisce "l'integrità e la lealtà" dell'Inter, assumendosi la missione di "sostenere e continuare tale tradizione" nel segno della "lunga e gloriosa storia" nerazzurra.
Espressioni che fanno a pugni con la storia di Farsopoli. Gli illeciti sono stati prescritti, la veirtà e l'etica no!
E infine Thohir bacchetta la Juve per aver diffuso notizia del suo OK per SMS, ritenendolo cosa privata: cioè due presidenti, i cui staff stanno portando avanti un affare, comunicano tra loro e prendono un accordo; ma uno dei due staff, obbedendo al cartonato minore (per possesso del club, ma in pratica mai sceso dal trono e rimasto a tirare i fili del Djakartone), che a sua volta obbedisce a branchi di energumeni: che d'ora in poi si sentiranno legittimati a forzare la mano ai vertici a colpi di lanci assortiti. E bisognerebbe far finta che si sia stato tutto uno scherzo tra due buontemponi.
Non so cosa Moratti abbia raccontato o permesso di sapere a Erick Thohir di Calciopoli, se gli abbia raccontato la vera storia di quello scudetto di merda e cartone, delle cause risarcitorie contro l'Inter tuttora pendenti. Certo, avendo impegnato nella causa nerazzurra i suoi soldi e la sua immagine, il Djakartone forse dovrebbe studiare  la recente storia calcistica dell'ex Bel Paese.
Perché, per dirla con Brecht, "Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente".

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