lunedì 10 febbraio 2014

VERONA E' UNA SCONFITTA

Verona è una sconfitta



Conte è uscito arrabbiatissimo, e sconfitto dentro, dal campo di Verona: ma già alla fine del primo tempo, con i suoi in vantaggio per 2-0, la sua faccia era tutto un programma e non lasciava presagire nulla di buono.
Al di là del (momentaneo) risultato era l'atteggiamento della squadra che non gli piaceva, quella sufficienza di chi, sia pur inconsciamente, giocava rilassato, consapevole della propria superiorità tecnica e tattica; ma la tecnica, se si perde in leziosismi, diventa esibizione fine a se stessa e risulta dannosa perché il calcio è gioco di squadra e non un circo per foche ammaestrate, e la tattica, studiata dal mister e provata e riprovata in allenamento, necessita di essere messa in pratica con la massima attenzione e concentrazione, a maggior ragione perché in campo ci si trova di fronte agli avversari reali, di cui è necessario prevedere e prevenire le mosse.
E Verona a Conte non evocava certo buoni ricordi: proprio a Verona la Juve del Conte giocatore aveva iniziato a perdere lo scudetto poi annegato a Perugia: era la terzultima di campionato 1999/2000, e una Juve scialba, appannata e svogliata anche nei suoi big, due irriconoscibili Del Piero e Zidane, con una difesa orfana dell'infortunato Montero, con lo stesso Conte al di sotto dei suoi abituali standard, con il solo solito implacabile Davids a combattere col coltello tra i denti, si era arresa al Verona. Anche se il vantaggio in campionato sulla Lazio era sceso da 5 a 2 punti, Ancelotti e lo stesso Moggi erano apparsi comunque fiduciosi, convinti che 'la nostra sorte dipende comunque sempre da noi'.
Non fu proprio così. 
La domenica successiva fu quella di  Juve-Parma, la partita che avrebbe segnato le disgrazie di De Santis, tanto che nella notifica di chiusura indagini su Calciopoli i magistrati scrivono che quel campionato 1999-2000 fu "sostanzialmente condannato fino alla penultima giornata e non riuscendo nell’intento di garantire alla Juventus la vittoria finale, in quanto gli accordi illeciti già stabiliti vennero compromessi dal clamore suscitato provocato dall’arbitraggio apertamente favorevole alla squadra torinese da parte di De Santis".
E Cragnotti (sì, quel Cragnotti che aveva i suoi bei scheletri nell'armadio, tenuto ben chiuso dagli agganci istituzionali che poteva vantare, quel Cragnotti che poi nel 2003-4 avrebbe iscritto la Lazio al campionato con fidejussioni firmate da se stesso e garantite dalla Cirio) fece fuoco e fiamme "E' tutto da rifare", un altro con la fissa del ribaltone,  e "ci faremo sentire nelle sedi opportune. È venuta a mancare ancora la lealtà: bisognerà lavorare in Lega e Federazione". Evidentemente lassù qualcuno prestò orecchio.
E allora chi aveva sentito Cragnotti spedì a Perugia l'arbitro che tanto "se sbaglia lui nessuno dice un cazzo", così bravo da sfruttare le intemperie atmosferiche per fare "giustizia domestica". E non fu più in potere dei bianconeri decidere il loro destino.
Questi fantasmi popoleranno per sempre i pensieri di Conte: è vero, adesso siamo ancora molto lontani dalla conclusione del torneo, ma Antonio sa che, quando si incomincia una discesa, rotolare in fondo potrebbe essere un lampo. Per non dire delle cornacchie romane e filo-romane che danno già la Roma a -3, perché la partita da recuperare col Parma sarebbe una pura formalità e il ritorno di campionato a Roma è giallorosso, ça va sans dire: battendo la Juve in Coppa Italia Garcia ha riportato la chiesa al centro del villaggio.
E allora il mister corre ai ripari, in mezzo a tanti soloni che si affannano, cavillosamente e non richiesti, a discutere i suoi metodi, se abbia fatto bene o meno a sopprimere il giorno di riposo: quando Conte, per abitudine, guarda solo in casa sua.
Farà  il suo, studiando nuove soluzioni, ma tutti in casa Juve dovranno fare la loro parte sino in fondo, in umiltà.
Lui aveva parlato chiaro, sin da subito, nel postpartita, ai suoi: nessuno ha il posto assicurato, in panchina ci sono fior di giocatori come Marchisio, e come quell'Osvaldo che ha fatto già debuttare, dopo aver dato l'assenso al suo arrivo a Torino proprio nell'intento di stimolare un reparto offensivo che ormai viveva quasi esclusivamente sulle gambe di Tevez e Llorente.
E da ora, al netto di tutti i discorsi sui rinnovi di contratto e quant'altro, tutti dovranno dare l'anima in ogni partita, perché questa Juve l'ha costruita sin dall'inizio su sangue e sudore, cui poi ha praticato iniezioni di classe.
Perché, sia chiaro, il pareggio di ieri per Conte è una sconfitta, anche peggiore di quella di Firenze, dovuta ad un blackout pressoché inspiegabile; qua invece è stato il frutto di un'assenza di quella cattiveria agonistica che tanto frutti ha portato nelle ultime due stagioni: atteggiamento negativo portato avanti per tutta la gara, dopo che già contro l'Inter aveva fatto capolino dopo il 3-0; Antonio l'aveva già fatto rilevare, osservando che non sempre la cosa sarebbe stata indolore, perché comunque non si era vinto niente.
Non era bastato.

A Verona l'amara riprova: e allora le bacchettate. Meritate, bisogna dire, perché i campioni sono tali anche con la testa e con il cuore, oltre che con le gambe.


Carmen Vanetti (aka Angelo Ribelle)

Twitter: @JuveGrandeAmor

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