martedì 18 marzo 2014

MOGGI, UN CONDANNATO E NESSUN PERCHÉ

Moggi, un condannato e nessun perché


"Dagli atti processuali emerge il suo ruolo preminente sugli altri sodali, dovuto non solo alla sua personalità decisa, ma al contempo concreta e priva di filtri nell'esporre le sue decisioni, ma anche per la sua capacità di porre in contatto una molteplicità di ambienti calcistici fra loro diversi e gestirne le sorti con una spregiudicatezza non comune".
Così, dagli stralci pubblicati sugli organi di stampa, le motivazioni dell'Appello dipingono Luciano Moggi, e per questo in realtà lo condannano, sembra.
Dico sembra, perché per avere un quadro completo bisogna attendere di poter leggere tutte le 203 pagine (più allegati) delle motivazioni stesse, ma pare proprio che di pistole fumanti non ne siano emerse, altrimenti sarebbero già sulle prime pagine, invece della fuffa che vi alberga.
Intendiamoci, già deve scandalizzare che siano venuti a conoscenza delle motivazioni prima i 'giornalisti'  che gli avvocati di Moggi, che si son dovuti mettere in fila. Ma questa è una delle altre anomalie (se fossimo in un Paese normale...) di Farsopoli, una vicenda in cui i pennivendoli hanno esercitato un ruolo che va ben al di là di quello arrogatosi come cassa di risonanza del sentimento popolare. Basta pensare che Maurizio Galdi, che anche in questo caso ha firmato col fedele Valerio Piccioni il pezzo sulle motivazioni, ha collaborato con gli investigatori, da Auricchio ("I contatti con Galdi sono iniziati dalla fine del 2003. Siamo amici e io l'ho anche utilizzato per apprendere notizie investigative nell'ambito delle indagini sul calcio. Mi chiamava frequentemente per tenermi informato su tutti i fatti che conosceva all'interno del mondo sportivo. Lo faceva perché era gratificato dal collaborare con gli investigatori" testimonianza  a Napoli nel maggio 2010") a Di Laroni, che "l'olio di gomito" che queste motivazioni esaltano l'aveva già messo al servizio del Galdi stesso cui fece "per cortesia un ricorso avverso una sanzione per violazione al codice della strada".
Ma tant'è.
In ogni caso, a dispetto degli sbandierati  "molteplici e articolati elementi probatori" a stagliarsi possente sulle motivazioni (per quel che si è visto) è la figura di Moggi, lo stesso Moggi ripresentato come il mostro in prima pagina del 2006, esattamente come le presunte prove sono rimaste le stesse delle informative di Auricchio: mesi, mesi e mesi di dibattito sono stati assolutamente inutili. Era una sentenza 'politica', già scritta e né le testimonianze né le telefonate né tutto il resto del sudiciume emerso hanno potuto alcunché.
Quella che era la sua personalità, indubbiamente da manager deciso e concreto, e spregiudicato, se intendiamo l'aggettivo nel suo significato etimologico, cioè privo di pregiudizi, gli viene rivoltata contro nelle accezioni più deteriori, al punto da farne  il capobanda di un sistema criminale che aveva "l'evidente obiettivo di impossessarsi e di mantenere un sistema di controllo".
Il controllo era così asfissiante e spietato che nel frattempo Galliani via Meani controllava gli sbandieratori, che Nucini e Facchetti prendevano tranquillamente il caffè insieme e con Moratti pensavano ad allertare la Boccassini, che Baldini progettava ribaltoni e via discorrendo.
Naturalmente già da queste anticipazioni le chicche sono tante: ma chi si aspettasse di  sentir parlare di partite alterate o di arbitri comprati o di soldi che girano chiusi in misteriose valigette si sentirà deluso.
Ci sono i soliti bluff: dall'immarcescibile Paparesta  ai sorteggi truccati, anche se l'unico trucco, degno sì dei migliori illusionisti, è quello che ha fatto sparire il video, questo sì taroccato, del sorteggio.
E poi la presunta pistola fumante: le schede svizzere. Salvo poi rendersi conto che rimane un'arma caricata a salve. Perché l'olio di gomito di Di Laroni è ben lungi dal configurare quella "attribuibilità più che certa" di cui si discetta; anzi, proprio il fatto che fossero intercettabilissime e che non siano state intercettate non fa che lanciare ombre sinistre sulla questione: perché a questo punto l'olio di gomito ha potuto inventarsi interlocutori e contenuti; e la cosiddetta certezza dall'ingegner De Falco (perito della difesa Fabiani che ha deposto a Napoli) è stata quantificata in percentuali al di sotto del 5%.
Si sottolinea la “peculiare capacità di Moggi di avere una molteplicità di rapporti a vario livello con i designatori arbitrali fuori dalle sedi istituzionali", senza considerare che: a) il fatto che questi rapporti fossero generalizzati, come è emerso più che chiaramente, abbatte di per sé la tesi del Moggi capocupola; b) questi rapporti erano incoraggiati dalla stessa Figc.
Infine sembra esserci anche la ciliegina sulla torta: la critica alla sentenza di primo grado, confermata quasi oborto collo in quanto accusata di una chiave di lettura riduttiva, visto che scopo dell'associazione sarebbe stato solo il raggiungimento di un esito positivo delle partite (peraltro la sentenza di primo grado parlava chiaramente di campionato regolare e non alterato), ma anche l'acquisizione di un potere di controllo dei vertici federali e di maggiore visibilità mediatica al fine di una progressione di carriera di arbitri e assistenti (eppure anche questo è un punto ampiamente smentito dai fatti). 
Questo spiega i ripetuti tentativi di togliersi dai piedi la Casoria, donna di poca fantasia.... 
E nella costruzione di una Farsa popolata di sogni, incubi e mostri, la fantasia è tutto...

Carmen Vanetti 

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