Moggi, un condannato e nessun
perché
"Dagli atti processuali emerge il suo ruolo preminente sugli
altri sodali, dovuto non solo alla sua personalità decisa, ma al contempo
concreta e priva di filtri nell'esporre le sue decisioni, ma anche per la sua
capacità di porre in contatto una molteplicità di ambienti calcistici fra loro
diversi e gestirne le sorti con una spregiudicatezza non comune".
Così, dagli
stralci pubblicati sugli organi di stampa, le motivazioni dell'Appello dipingono
Luciano Moggi, e per questo in realtà lo condannano, sembra.
Dico
sembra, perché per avere un quadro completo bisogna attendere di poter leggere
tutte le 203 pagine (più allegati) delle motivazioni stesse, ma pare proprio che di pistole
fumanti non ne siano emerse, altrimenti sarebbero già sulle prime pagine, invece
della fuffa che vi alberga.
Intendiamoci, già deve scandalizzare che
siano venuti a conoscenza delle motivazioni prima i 'giornalisti' che gli
avvocati di Moggi, che si son dovuti mettere in fila. Ma questa è una delle
altre anomalie (se fossimo in un Paese normale...) di Farsopoli, una vicenda in
cui i pennivendoli hanno esercitato un ruolo che va ben al di là di quello
arrogatosi come cassa di risonanza del sentimento popolare. Basta pensare che
Maurizio Galdi, che anche in questo caso ha firmato col fedele Valerio Piccioni
il pezzo sulle motivazioni, ha collaborato con gli investigatori, da Auricchio
("I contatti con Galdi sono iniziati dalla fine del 2003. Siamo amici e io l'ho
anche utilizzato per apprendere notizie investigative nell'ambito delle indagini
sul calcio. Mi chiamava frequentemente per tenermi informato su tutti i fatti
che conosceva all'interno del mondo sportivo. Lo faceva perché era gratificato
dal collaborare con gli investigatori" testimonianza a Napoli nel maggio 2010")
a Di Laroni, che "l'olio di gomito" che queste motivazioni esaltano l'aveva già
messo al servizio del Galdi stesso cui fece "per cortesia un ricorso avverso una
sanzione per violazione al codice della strada".
Ma tant'è.
In ogni
caso, a dispetto degli sbandierati "molteplici e articolati elementi probatori"
a stagliarsi possente sulle motivazioni (per quel che si è visto) è la figura di Moggi,
lo stesso Moggi ripresentato come il mostro in prima pagina del 2006,
esattamente come le presunte prove sono rimaste le stesse delle informative di
Auricchio: mesi, mesi e mesi di dibattito sono stati assolutamente inutili. Era
una sentenza 'politica', già scritta e né le testimonianze né le telefonate né
tutto il resto del sudiciume emerso hanno potuto alcunché.
Quella che era la
sua personalità, indubbiamente da manager deciso e concreto, e spregiudicato, se
intendiamo l'aggettivo nel suo significato etimologico, cioè privo di
pregiudizi, gli viene rivoltata contro nelle accezioni più deteriori, al punto
da farne il capobanda di un sistema criminale che aveva "l'evidente obiettivo
di impossessarsi e di mantenere un sistema di controllo".
Il controllo era
così asfissiante e spietato che nel frattempo Galliani via Meani controllava gli
sbandieratori, che Nucini e Facchetti prendevano tranquillamente il caffè insieme e con Moratti pensavano ad allertare la Boccassini, che Baldini
progettava ribaltoni e via discorrendo.
Naturalmente già da queste
anticipazioni le chicche sono tante: ma chi si aspettasse di sentir parlare di
partite alterate o di arbitri comprati o di soldi che girano chiusi in
misteriose valigette si sentirà deluso.
Ci sono i soliti bluff:
dall'immarcescibile Paparesta ai sorteggi truccati, anche se l'unico trucco,
degno sì dei migliori illusionisti, è quello che ha fatto sparire il video,
questo sì taroccato, del sorteggio.
E poi la presunta pistola fumante: le
schede svizzere. Salvo poi rendersi conto che rimane un'arma caricata a salve.
Perché l'olio di gomito di Di Laroni è ben lungi dal configurare quella
"attribuibilità più che certa" di cui si discetta; anzi, proprio il fatto che
fossero intercettabilissime e che non siano state intercettate non fa che
lanciare ombre sinistre sulla questione: perché a questo punto l'olio di gomito
ha potuto inventarsi interlocutori e contenuti; e la cosiddetta certezza
dall'ingegner De Falco (perito della difesa Fabiani che ha deposto a Napoli) è
stata quantificata in percentuali al di sotto del 5%.
Si sottolinea la
“peculiare capacità di Moggi di avere una molteplicità di rapporti a vario
livello con i designatori arbitrali fuori dalle sedi istituzionali", senza
considerare che: a) il fatto che questi rapporti fossero generalizzati, come è emerso più che chiaramente, abbatte di per sé la tesi del Moggi capocupola; b)
questi rapporti erano incoraggiati dalla stessa Figc.
Infine sembra
esserci anche la ciliegina sulla torta: la critica alla sentenza di primo grado,
confermata quasi oborto collo in quanto accusata di una chiave di lettura
riduttiva, visto che scopo dell'associazione sarebbe stato solo il
raggiungimento di un esito positivo delle partite (peraltro la sentenza di primo
grado parlava chiaramente di campionato regolare e non alterato), ma anche
l'acquisizione di un potere di controllo dei vertici federali e di maggiore
visibilità mediatica al fine di una progressione di carriera di arbitri e
assistenti (eppure anche questo è un punto ampiamente smentito dai fatti).
Questo spiega i ripetuti tentativi di togliersi dai piedi la Casoria, donna
di poca fantasia....
E nella costruzione di una Farsa popolata di sogni,
incubi e mostri, la fantasia è tutto...
Carmen Vanetti
Twitter: @JuveGrandeAmor
Facebook: Gruppo FINO ALLA FINE..... JUVENTUS
Facebook: Gruppo FINO ALLA FINE..... JUVENTUS
Nessun commento:
Posta un commento