Nel nome di papà Umberto
"Dobbiamo impegnarci a far bene, ricordandoci che una cosa fatta bene
può essere sempre fatta meglio".
Parole e musica di Edoardo Agnelli, il presidente dei cinque scudetti
consecutivi.
Monito che venne idealmente raccolto dal figlio Umberto allorché, correva
l'anno 1957, raccolto l'anno prima il testimone alla presidenza della Juve, si
apprestava a costruire la Juventus della prima stella (quella vera, degli
scudetti vinti sul campo e non ritirati in segreteria); quell'Umberto che, dopo
aver già acquistato John Charles (65.000 sterline, 105 milioni di lire), non
esitò a far prevalere le ragioni del cuore su quelle aride e sparagnine del
bilancio, portando a Torino anche Omar Sivori (10 milioni di pesos, circa
180.000 milioni di lire): "E io lo compro lo stesso".
Umberto Agnelli se n'è andato dieci anni fa, senza che il destino gli
concedesse l'ultima soddisfazione, quella di sapere che Moggi e Giraudo si erano
appena assicurati un contratto triennale con Fabio Capello.
"E noi rimanemmo soli", scrive Luciano Moggi nel suo libro.
Già, perché la sua morte, che seguiva, nel giro di un anno e mezzo, quelle
dell'Avvocato e di Vittorio Chiusano, fu l'humus in cui germogliò Calciopoli,
spalancando la porta agli incontri giacobini di John Elkann e Jean-Claude Blanc,
a Marrakech prima (31 dicembre 2004) e Parigi poi (tre mesi dopo al Café de
Flore), e allo scempio della anti-difesa di Zaccone: tutto questo nessuno di
quei tre l'avrebbe mai permesso.
"Mi crollò il mondo addosso: era stato lui a volermi alla Juventus e
tra noi era nato un rapporto importante anche dal punto di vista umano.. E noi
rimanemmo soli", scrive infatti Luciano Moggi.
Già perché era stato proprio lui che, ritornato al volante di una Juve cui
lo scudetto mancava da otto anni, l'aveva affidata alla Triade, con
cui condivise gioie e delusioni.
E proprio assieme a loro concepì il progetto dello Juventus Stadium, che
poi il figlio Andrea avrebbe avuto l'onore e l'orgoglio di inaugurare l'8
settembre 2011, per farne il fortino della Juve di Conte.
Ed è ora Andrea a raccogliere e far rivivere l'eredità del padre, da cui ha
ereditato la filosofia del lavoro, le capacità manageriali e la statura
istituzionale.
Purtroppo Andrea è solo, non può più avere al suo fianco la
preziosissima Triade: ma al fianco dei magnifici Tre è cresciuto, assieme a loro
ha respirato l'odore del prato verde nei prepartita; non deve dimenticare nulla
della lezione appresa dal papà e da cotanti Maestri.
Perché, per dirla con Giovanni Falcone, ma è massima valida in qualsiasi
ambito dell'agire umano, "gli uomini passano, le idee restano. Restano le
loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri
uomini".
E seguendo la strada lastricata con i princìpi di papà Umberto, per Andrea
l'obiettivo è e resterà uno solo: difendere l'onore della Juve e portarla sempre
più in alto.
FINO ALLA FINE!
Carmen Vanetti
Twitter: @JuveGrandeAmor
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Prandelli: «E' la partita più importante della mia vita»
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