martedì 27 maggio 2014

NEL NOME DI PAPÀ UMBERTO

Nel nome di papà Umberto





"Dobbiamo impegnarci a far bene, ricordandoci che una cosa fatta bene può essere sempre fatta meglio".
Parole e musica di Edoardo Agnelli, il presidente dei cinque scudetti consecutivi.
Monito che venne idealmente raccolto dal figlio Umberto allorché, correva l'anno 1957, raccolto l'anno prima il testimone alla presidenza della Juve, si apprestava a costruire la Juventus della prima stella (quella vera, degli scudetti vinti sul campo e non ritirati in segreteria); quell'Umberto che, dopo aver già acquistato John Charles (65.000 sterline, 105 milioni di lire), non esitò a far prevalere le ragioni del cuore su quelle aride e sparagnine del bilancio, portando a Torino anche Omar Sivori (10 milioni di pesos, circa 180.000 milioni di lire): "E io lo compro lo stesso".
Umberto Agnelli se n'è andato dieci anni fa, senza che il destino gli concedesse l'ultima soddisfazione, quella di sapere che Moggi e Giraudo si erano appena assicurati un contratto triennale con Fabio Capello.
"E noi rimanemmo soli", scrive Luciano Moggi nel suo libro.
Già, perché la sua morte, che seguiva, nel giro di un anno e mezzo, quelle dell'Avvocato e di Vittorio Chiusano, fu l'humus in cui germogliò Calciopoli, spalancando la porta agli incontri giacobini di John Elkann e Jean-Claude Blanc, a Marrakech prima (31 dicembre 2004) e Parigi poi (tre mesi dopo al Café de Flore), e allo scempio della anti-difesa di Zaccone: tutto questo nessuno di quei tre l'avrebbe mai permesso.
 "Mi crollò il mondo addosso: era stato lui a volermi alla Juventus e tra noi era nato un rapporto importante anche dal punto di vista umano..  E noi rimanemmo soli", scrive infatti Luciano Moggi.
Già perché era stato proprio lui che, ritornato al volante di una Juve cui lo scudetto mancava da otto anni, l'aveva affidata alla Triade, con cui condivise gioie e delusioni.
E proprio assieme a loro concepì il progetto dello Juventus Stadium, che poi il figlio Andrea avrebbe avuto l'onore e l'orgoglio di inaugurare l'8 settembre 2011, per farne il fortino della Juve di Conte.
Ed è ora Andrea a raccogliere e far rivivere l'eredità del padre, da cui ha ereditato la filosofia del  lavoro, le capacità manageriali e la statura istituzionale.
Purtroppo Andrea è solo, non può più avere al suo fianco la preziosissima Triade: ma al fianco dei magnifici Tre è cresciuto, assieme a loro ha respirato l'odore del prato verde nei prepartita; non deve dimenticare nulla della lezione appresa dal papà e da cotanti Maestri.
Perché, per dirla con Giovanni Falcone, ma è massima valida in qualsiasi ambito dell'agire umano, "gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".
E seguendo la strada lastricata con i princìpi di papà Umberto, per Andrea l'obiettivo è e resterà uno solo: difendere l'onore della Juve e portarla sempre più in alto.
FINO ALLA FINE!

Carmen Vanetti 

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