Correva l’anno 1994, la Juventus era in mano a Giuan
Trapattoni, Presidente era l’Avvocato
Chiusano e mentre l’AD era Giampiero Boniperti, richiamato dall’Avvocato, dopo
le sue dimissioni da Presidente nel 1990, per rimettere ordine nel disastro
fatto in quella stagione da Luca Cordero di Montezzemolo e dal suo pupillo, l’inventore
del calcio champagne Gigi Maifredi: infatti nella stagione 1990/91 quella
Juventus arrivò settima e fu estromessa dall’Europa, un risultato inaccettabile
per l’Avvocato e per il fratello Umberto; si corse subito ai ripari,
oltre a Boniperti fu richiamato anche Trapattoni.
Ma torniamo all’estate del 1994 che segnò una tappa epocale non solo
nella Juventus ma anche nel Calcio Italiano, nel 1994 la Juventus di Trapattoni
e Boniperti arrivò seconda in campionato, però era dal 1986 che non si vinceva lo Scudetto; il 1994 è anche l’anno in cui Umberto Agnelli prende in mano
le redini della Juventus in prima persona, il Dottore è anche l’uomo che vigila
sulla cassaforte di Famiglia che al tempo si chiamava IFI e quindi è la persona
che più di tutte ha il polso della situazione finanziaria della di tutto il
Gruppo. Umberto Agnelli ha chiara ormai la percezione che la cassaforte di Famiglia
non poteva continuare a finanziare la Juventus, c’erano altre priorità, il
Dottore decise così di cambiare la strategia vincente dell’era Bonipertiana
basta sul finanziamento della Squadra da parte del IFI; inutile dire che questa
decisione fu presa, come nello Stile di Famiglia, in silenzio, senza preavvisi
e senza che nessuno sollevasse delle polemiche in pubblico.
Umberto nel 1993 fa la prima mossa: la Juventus si quota in
borsa, diventa una Società per Azioni, decisione pionieristica per il calcio
italiano che viveva di mecenatismo e dei soldi dei proprietari dei vari Clubs
che più che investire spendevano nella Squadra di Calcio. Ma la decisione più
difficile Umberto Agnelli la prende alla fine del Campionato 1993/94: la
Juventus per lui, come per il fratello, era più che una semplice Squadra di
Calcio, era un bene della Famiglia, l’amore, sportivo, di tutta la vita; quindi, se cambiare strategia era obbligatorio, bisognava farlo senza indebolire la
Juventus anzi mettendola nelle condizioni di ripartire a vincere e vincere
dando delle soddisfazioni ai suoi tifosi; ricordiamo, dal 1986 le vittorie erano
magre.
La decisione più difficile, ed anche internamente
contrastata, fu quella di rinnovare completamente i vertici della Juventus: Gianpiero Boniperti, l’uomo di fiducia dell’Avvocato, quello che veniva definito
il “fattore” di Gianni Agnelli, venne allontanato da quella che si può definire
la sua creatura, ma chi mettere al suo posto? Che assetto dare a questa nuova S.p.A del Calcio, come gestirla? Ma soprattutto come coniugare la passione
sportiva e la fame di vittorie con le necessità di bilancio? Questa fu la
grande sfida e la grande intuizione del Dottore,:se la Juventus è una Società
per Azioni, che operi come una qualsiasi altra S.p.A., che si dia una struttura
adeguata ad un’Azienda.
Presa questa decisione che sovvertiva la visione che lo
stesso Gianni Agnelli aveva portato avanti per decenni, Umberto deve fare il
passo successivo, il più difficile, scegliere gli Uomini da mettere sulla
plancia di comando, Uomini che per la mission che sarebbe stata loro affidata
dovevano avere dei profili professionali di assoluta eccellenza.
Antonio Giraudo fu il primo ad essere arruolato e forse fu anche
la scelta più semplice per il Dottore, Giraudo infatti è un Uomo della Famiglia
e di fiducia di Umberto; ma Giraudo è un finanziere, l’uomo che ha grande famigliarità
con i numeri, ha esperienza nel business dello Sport essendo stato a capo della
Società che gestiva il Sestriere, però di calcio ne mastica poco e poi è pure
torinista. Umberto deve trovare chi possa gestire con successo l’area sportiva
e, data l’oggettiva difficoltà della mission, chi meglio di Luciano Moggi poteva
essere scelto dal Dottore? Luciano Moggi cresciuto alla scuola di Italo Allodi,
già capo degli osservatori della Juventus all’epoca in cui Allodi era DS, Moggi
che fece miracoli con il Torino portandolo ai massimi successi europei nella
storia del Club Granata, Moggi che con una grande intuizione portò a Napoli quel
Diego Maradona che faceva sognare quel palato fine del fratello Gianni, Moggi di
fede Juventina che però fu antagonista della Vecchia Signora con il Napoli vincendovi la Coppa UEFA nel 1989 e lo Scudetto e Supercoppa Italiana nel 1990.
Mancava un tassello, mancava ancora un Uomo che avesse tutti i crismi della Juventinità,
però non doveva essere il “fattore” alla Boniperti ma neppure il “commissario
del popolo” della fede Juventina nella dirigenza, doveva essere una persona
alla quale il Popolo Bianconero fosse affezionata per i suoi trascorsi, uno che per
la sua fedeltà ai colori meritava di essere premiato salendo sulla plancia di
comando: quale scelta migliore di Roberto Bettega si poteva fare?
Fu così che nacque la famosa Triade, un team affiatato che
gestiva tutte le aree più importanti dell’Azienda Juventus, Giraudo il
finanziere, Moggi l’esperto di calcio e Bettega il ministro degli esteri, un
team che sulle prima lasciò perplessi molti per la sua eterogeneità, con tre personaggi
diversi come background, come personalità e come esperienze, però un team
di professionisti di primissimo ordine; e quando si mettono assieme tre persone
con tanta professionalità l’intesa viene automaticamente.
Arrivare ai vertici della Juventus per Giraudo, Moggi e
Bettega poteva essere il raggiungimento del traguardo, della vetta
professionale che corona il lavoro di una vita, ma la Juventus non è mai stata
un punto d’arrivo, lo sapevano bene Montezemolo e il suo Sancho Panza
Maifredi, per esempio. Arrivare poi nella Juventus del Dottore fu ancora più
difficile, perché la mission fu chiara fin dal primo momento: “Signori, soldi
non ce ne sono più per il Calcio, i conti sono disastrosi, voi dovete vincere
autofinanziandovi e nel corto-medio termine dare degli utili. Buon lavoro”; queste potrebbero essere le parole che il Dottore disse alla Triade.
Il 1994 fu l’anno di una rivoluzione epocale della quale fu
artefice Umberto Agnelli: fu il passaggio dal calcio che vive di sussidi e di
mecenati al Calcio inteso e gestito come un’Azienda; come operò e che risultati
portò la Triade lo ricordiamo tutti, la Juventus ancora una volta e, purtroppo
per l’ultima volta, nel 1994 fece un cambiamento che credo non sia azzardato definire storico, dimostrando che le vittorie non arrivano
per miracoli divini ma sono il frutto di organizzazione, professionalità e
competenza. Umberto Agnelli avrebbe potuto accontentarsi di managers di medio
profilo, sicuramente a livello di conti e di bilanci questi managers avrebbero
centrato il risultato ma non era questo quello che voleva il Dottore, il Dottore
voleva una Juventus vincente, una Juventus che doveva essere sulla vetta dell’Europa
perché quello era, e dovrebbe sempre essere, il posto che compete alla
Juventus.
A volte ripercorrere un po’ di storia serve per capire l’attualità,
soprattutto quando l’attualità, nel caso della Juventus, è fatta di burocrati
che nulla hanno a vedere con la Storia e le Tradizioni Bianconere.
Massimo Sottosanti
VINCERE NON E’ IMPORTANTE E’ L’UNICA COSA CHE CONTA
FINO ALLA FINE
Facebook: Gruppo FINO ALLA FINE………. JUVENTUS
Twitter: @JuveGrandeAmor
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