giovedì 2 ottobre 2014

JUVENTUS, PER IL DIPLOMA IN EUROPA CI VUOLE DI PIÙ!





E' arrivata la prima sconfitta stagionale; e purtroppo è arrivata dove il dente duole, in Champions League.
E' arrivata anche male: è arrivata dopo una partita in cui i bianconeri non hanno fatto un solo tiro nello specchio della porta e, come diceva il paròn Nereo Rocco: "Balon, palo, fora: te si un coion. Balon, palo, dentro: te si un campion".
L'atteggiamento esibito dai bianconeri al Calderon  mi dà da pensare, soprattutto alla luce dei proclami della vigilia da parte di Allegri; aveva parlato della voglia di vincere che è nel Dna della Juve che ciò che conta è pensare sempre a vincere.
Ebbene, a noi tifosi il messaggio era piaciuto, ma in campo tutto ciò non si è visto: è mancato non solo il furore, è mancato un minimo di coraggio.
Allegri si arrabbia quando Sacchi nel dopogara gli fa notare come la Juventus quando gioca in Italia sembra avere una grande personalità che smarrisce in Europa; il mister bianconero, piccato, sostiene che si è giocato per vincere ma che la non era semplice con la gestione della palla  limitare la forza dell’Atletico, che va a folate, che va sempre a contrasto, gioca sulle seconde palle; che la Juve ha tentato  di limitarli, riuscendovi nel 60 per cento della partita.
E' vero, la Juve ha giocato sul possesso palla; ma questo 60% di possesso palla a che è servito? A nulla. Nemmeno a gestire la gara. A meno che non si voglia sposare con qualche correttivo la teoria enunciata nello scorso marzo da Mazzarri che sognava un epocale cambiamento di regole in virtù del quale ogni tot angoli si assegnasse un goal; prendendo, beninteso, come metro in questo caso il possesso palla, perché anche come angoli siamo andati davvero maluccio, visto che il gioco  fluiva in orizzontale più che in verticale.
E la porta stava sempre là, bella e impossibile, con Moya che si pavoneggiava coi suoi bei guanti pulitissimi.
E in effetti Buffon, forse un po' invidioso della calma piatta di cui aveva goduto il suo omologo mentre lui aveva dovuto lavorare e subire l'onta del goal, ha visto una partita più vicina a quella di Sacchi: "Noi giochiamo con piglio diverso in campionato e in Champions. Contro il Milan abbiamo avuto un atteggiamento diverso. Certo, la differenza sta nell'avversario, l'Atletico sta nell'élite ma, se vogliamo prendere il diploma in Europa, dobbiamo rischiare di più".
E' vero, la differenza sta anche nell'avversario, ma che l'Atletico fosse così, tignoso, non bello da vedere, si sapeva; ma giocando sul non possesso, pur con una rosa con valori tecnici globali non superiori a quelli della Juve, l'ha avuta vinta.
Anche l'anno scorso avevamo perso a Madrid, col Real, ma, almeno in quel caso, avevamo dimostrato più personalità; anche se eravamo stati ugualmente puniti.
Intendiamoci, tanto per sgombrare il campo dalle polemiche, non è una resurrezione della diatriba Conte/Allegri; che poi Allegri si trova a dover fare i conti con gli stessi problemi che aveva il suo collega, la mancanza di esterni in grado si saltare l'uomo e di creare superiorità.
Conte aveva scelto come ricetta l'intensità e la ferocia, Allegri preferisce il possesso palla esasperato, il gioco per linee orizzontali e la ragnatela di passaggi. Per ora il problema rimane tutto da risolvere.
Chiaro, questa sconfitta, grazie anche al regalo del Malmoe, per fortuna non pregiudica nulla: c'è tutto il tempo per porre rimedio; occorre vincere le due sfide coi greci dell'Olympiacos e il passaggio del turno diverrebbe realtà. Una realtà che è indispensabile per stampellare un bilancio abbarbicato alle plusvalenze; non sappiamo se basterà per rendere concreto qualche sogno invernale del pur aziendalista Allegri.

E ORA SOTTO CON LA ROMA.

Perché vincere è davvero nel Dna nella Juve: non è importante, è l'unica cosa che conta.


Carmen Vanetti

VINCERE NON E’ IMPORTANTE E’ L’UNICA COSA CHE CONTA

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